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Logan: la recensione

Logan: la recensione

Se Logan fosse una canzone sarebbe Hurt (nella versione di Johnny Cash), ma quindi com’è questo film? (Attenzione: spoiler!)

Cominciamo col premettere il mondo, sennò poi non contestualizziamo.

  1. Avevo le aspettative alte per via del fatto che non avevo amato (eufemismo) nessuno dei due Wolverine precedenti, ma come almeno metà del fandom mondiale ritenevo che il buon Hugh Jackman ci avesse sempre messo l’anima.
  1. Mi aspettavo di vedere qualcosa che mi sarebbe piaciuto ma non troppo.
  1. Nel titolo c’era un ammiccamento bello grosso ad Old Man Logan, saga molto bella di qualche anno fa scritta da Mark Millar e disegnata ottimamente da Steve Mc Niven.
  1. Direi di partire.

Faccio subito un bel riassunto di trama per fomentare la discussione ed eventualmente rovinare la sorpresa a chi non l’ha ancora visto. Se però non l’avete ancora visto potete pure astenervi dal leggerlo. Vi astenete? No?

Il vecchio Jim Howlett alias Logan alias the Wolverine è vecchio. Non fosse chiaro la cosa viene ribadita subito e costantemente per tutto il film. La vecchiaia ha portato in dono a Logan un femore ballerino con zoppìa annessa e una lieve miopia. Sul fronte mutante gli artigli non escono più bene dalle mani, il suo celeberrimo potere di rigenerazione funziona se ne ha voglia e di costumini di pelle non c’è ombra.

Jim, alias Logan, fa l’autista. L’autista per ricchi americani scazzati e cafoni sul confine col Messico, vicino El Paso.

A Logan interessa una sola cosa, prendersi cura del professor Xavier a cui è presa una bella forma di demenza.

Questa demenza è del tipo scenografico, visto che causa spasmi fortissimi a uso tensione a chiunque stia nel raggio di alcune decine/centinaia di metri in momenti random del film.

Di mutanti in giro non sembrano essercene tanti. Contiamo Wolverine, Xavier e Calibano che sbriga le faccende di casa della coppia di vecchietti.

Tra una manciata di madonne sputate da Xavier (mai così sboccato) e Logan in una rissa omicida con dei teppistelli di strada, capita addosso al nostro peloso protagonista una ragazzina, corredata di infermiera messicana di buon cuore la cui utilità per la trama è morire male dopo 10 minuti.

È presto chiaro che la ragazzina è un clone/figlia di Wolverine ottenuta in laboratorio da gente che vuole usare le mutazioni come brevetti militari per creare tanti piccoli soldati mutanti.

A questo punto tutta la parte centrale del film è un bel road movie con inseguimento in viaggio verso il Canada, la terra promessa. Abbiamo quindi inseguimento al casinò, pernottamento in fattoria di gente contadina, botte e mazzate assortite e un enorme omaggio a qualsiasi western che si rispetti.

Per capire il tono del film è giusto dire che pochissima gente sopravvive a questa parte del film. Non Xavier, per dire.

La terza parte del film è la resa dei conti finale coi cattivi dove i buoni trionfano e ammazzano qualsiasi cosa si muova. Ma pure Logan ci lascia la pelle in un evocativo scontro con un suo giovane clone senz’anima. Alla faccia della sottile metafora.

Adesso che più o meno ci siamo chiariti cosa succede bisogna anche fare qualche considerazione sparsa sul film, dare qualche giudizio necessariamente soggettivo e vedere di far bella figura.

Logan, visto da me.

Il film è bello. La regia è solida anche se non particolarmente ispirata, le atmosfere western e le inquadrature sono impeccabili, l’azione a terra è molto buona ma quella coi cavi è un po’ troppo visibile per i miei gusti.

Gli attori sono tutti in parte e se Jackman regala un’ottima prova che ricorda un po’ il personaggio di Clint Eastwood in Gran Torino, Patrick Stewart realizza un ottimo Xavier finalmente dotato di una terza dimensione e Dafne Keen spicca per la naturalezza inumana in un ruolo molto duro.

I comprimari e i cattivi servono la narrazione in maniera quasi stilizzata, ma il racconto si presta bene ad utilizzare questi elementi in modo chiaro e sincero dall’inizio alla fine.

Lo scopo è mostrare un arco di crescita e redenzione di Logan a un’età in cui di crescita e redenzione non gli interessa più niente. La rincorsa è quindi a creare le motivazioni, soprattutto emotive, per rendere credibile questa svolta. Per ottenere queste motivazioni vengono costruiti e mostrati i rapporti tra Xavier e Logan e tra Logan e Laura.

A mio giudizio ci sono riusciti appieno.

Il tono del film è, come accennavo prima, duro e crudo rispetto a qualsiasi precedente X-men o Wolverine uscito da Fox negli ultimi 20 anni. Le atmosfere rarefatte puntano a ricreare un western futuristico giocando su ambienti e situazioni raccontate per sottrazione ma costruite molto bene.

X23, la figlia di Logan, e X24, il giovane clone senz’anima, sono la buona metafora di un uomo ormai stanco e vecchio che deve decidere che eredità lasciare di sé al mondo. Logan è padre di una speranza per il futuro e di un incubo. Cosa prevarrà alla fine è anche e soprattutto frutto dello schierarsi per l’uno o per l’altra.

In definitiva il film mi è piaciuto molto, anche se rappresenta uno scarto drastico rispetto ai precedenti due film dedicati al mutante canadese. Che ci sia stata una presa di coscienza dei punti di forza del personaggio o solo il tentativo di far cassa con qualcosa di diverso, Fox ha finalmente reso giustizia ad un personaggio sempre infantilizzato nelle sue precedenti apparizioni e Hugh jackman sembra averci messo del suo per rendere questa caratterizzazione un degno canto del cigno di un personaggio che non ha mai nascosto di amare.

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