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Cowabunga!

Ludopedia: Il dado è gatto!

Ludopedia: Il dado è gatto!

Sì, è proprio così. Perché lo puoi vezzeggiare, coccolare, amare, ci puoi giocare, lo puoi esibire come un gioiello, ma tanto lo sai che farà sempre come vuole e sarai tu a doverti adattare a lui e non il contrario…

Apro la rubrichina “Ludopedia” su un “dietro le quinte” dei meccanismi che compongono i giochi (in scatola, di ruolo, di strategia, sessuali… no, sessuali no) e parlo dei meravigliosi e famigerati dadi. La chiamo rubrichina per non associarla alle rubriche vere, tutte d’un pezzo, quelle scritte dalle eminenze ludiche, quelle che quando ne leggi una, cadi in ginocchio e ringrazi chiunque te l’abbia messa sotto il naso perché la tua vita ora è più piena con le nuove nozioni universalmente accettate che contiene! La mia è -ina e si basa sulle mie esperienze personali… ma vabbé, torniamo ai DADI!

Simboli dell’aleatorietà in generale, antichi metodi di divinazione o armi segrete della Jacuzia nel Risiko (sì, sempre il Risiko, quale esempio migliore? Chi non lo conosce? E soprattutto… chi s’incazzerebbe se ne parlassi male? :-)), questi piccoli oggettini ci ricordano quanto sia grande il mondo che ci circonda e quanto poco possiamo influenzarne i meccanismi. E questa è la loro funzione più “nobile” parlando di giochi.

Risiko versione “con un carroarmatino ti sfondo l’esercito”

Che siano utilizzati “a monte”, per stabilire quante e quali risorse possiamo gestire (come ad esempio il lancio del dado ne I Coloni di Catan, o anche in parte in giochi come The Elder Sign) o “a valle” per verificare se un’azione sia andata a buon fine oppure no (come in Mice and Mystics o Super Fantasy) i dadi svolgono la funzione di approssimare tutto quello che nella realtà sono le condizioni su cui non abbiamo controllo: ad esempio in una lotta siamo influenzati da sensazioni, stati d’animo, eventi fuori dal nostro campo visivo, condizioni non ottimali dovuti alla confusione ecc. ecc., tutti fattori che non possono essere adeguatamente rappresentati se non cadendo nell’errore di fare i giochi Daikaiju, i giochi-mostro osannati da tutti (e non giocati da nessuno), di cui avevo già parlato nell’articolo che trovate qui.

Mice and Mystics… ohhhh lo adoro!

Alla luce di questo fatto, è evidente come sia molto importante, nella progettazione di un gioco da tavolo con i dadi, il calcolo delle probabilità. Nei giochi tipicamente American, dove i dadi decretano la riuscita o meno di una azione, questo è massimamente evidente: in un siffatto gioco non gestiamo uno status quo, non abbiamo risorse da trasformare per ottenere certamente un risultato, a meno di non averne tante e tali da renderlo quasi scontato, ma abbiamo una serie di risorse da impegnare per aumentare le probabilità di un successo nell’azione che stiamo per compiere e, successivamente, un adattamento alla situazione che si andrà a verificare.

Anzitutto è importante capire che non è scontato nemmeno quante facce deve avere il dado utilizzato, anche (ma non solo) a seconda delle risorse che presumibilmente i giocatori avranno a disposizione, in modo da calibrare i risultati ottenibili dai giocatori con le reali possibilità di eseguire una data azione. Così, ad esempio, per quanto un personaggio (diciamo umano) possa diventare forte, deve essere impossibile che possa ottenere un risultato positivo dal tentativo di spostare un palazzo (a meno che non si serva di un mezzo meccanico adatto…).

Toh! Una dice tower! Mi emoziono sempre quando ne vedo una!

Poi bisogna fare i conti anche con probabilità “non lineari”, come quella che si verifica lanciando 2 d10 per poi sommarli ed ottenere risultati che variano da 2 a 20: ad esempio il 2 e il 20 avranno ciascuno una sola possibile combinazione di valori per essere ottenuti, mentre un valore di 10 ne avrà 9, quindi un tiro di dado siffatto andrà calibrato di conseguenza e i risultati più “improbabili” dovranno essere raggiunti ottenendo i risultati più “estremi” mentre quelli più comuni si otterranno con risultati più verso il “centro” della scala dei valori.

Negli wargame che hanno ad oggetto le battaglie singole, i dadi sono un ottimo artificio per rendere tutte quelle condizioni ambientali (ma anche gli imprevisti) che si possono verificare in uno scontro e che non potrebbero essere adeguatamente resi da un gioco di segnalini o disposizioni minuziosamente scritte. Così il lancio dei dadi di difesa di una truppa, può inglobare il fatto che il terreno sia difficile, che ci si trovi in situazioni disperate o che si stia semplicemente agendo d’istinto. Nessuno ha il controllo completo di un campo di battaglia, può solo posizionarsi al meglio e sfruttarlo per ottenere probabilità migliori.

Tralasciando il gioco dell’oca, gioco per le “menti semplici” dei bambini, in cui un tiro di dado fa avanzare l’oca e fine della storia (e qui mi devo sigillare le labbra per non dire un altro titolo che lo segue a ruota), oppure il vetusto Risiko (sì, sempre lui, lo amo e lo odio insieme… siamo come due amanti criminali), che tutti rispettiamo, che piace anche a me ma che ha meccanismi ormai “neanderthaliani” di gestione delle battaglie, un gioco di dadi ben fatto non è mai puramente una questione di culo ma calibra e approssima aspetti di un evento per garantirne una giusta probabilità, e di solito lo fa con l’accurata scelta dei dadi e con l’affiancamento di meccaniche precise. Persino il semplice gioco Mice and Mystics ha meccanismi che permettono il ritiro dei dadi, raddoppiano i colpi se si ottiene un dato risultato, o modificano le probabilità con abilità speciali per rendere l’esperienza “totale” di gioco il più coerente possibile.

Psicologicamente, poi, lanciare i dadi da una sottile soddisfazione: Cazzo! Ho tirato un 20 contro quel mostro e l’ho tirato giù! Il mio personaggio è troppo forte! Capita ahimé anche il contrario: tiri tutti i dadi possibili con la spada magica… e te la dai sul piede… oppure spari con un calibro 370 e manchi il bersaglio a 100 mt… ma così è la vita a volte…

Non dico che tutti dovrebbero giocare usando dadi: io stesso adoro e gioco con passione molti giochi che i dadi non li usano o li usano solo “a monte”, ma non sono d’accordo nel denigrare (tutti) i giochi che li usano “a valle” perché c’è sicuramente uno studio di game design dietro il loro lancio, un equilibrio che magari viene fuori nella totalità del gioco, un meccanismo che va sfruttato per gestirne la probabilità, una sintesi necessaria a rendere al meglio le situazioni di gioco.

E poi diciamocelo, se la serata è storta non è certo con un gioco german che te la puoi raddrizzare… o sì? 🙂

Luca "il ludografico"

Il Ludografico (all'anagrafe Luca Canese) è un graphic designer e modellista, con una passione smodata per i giochi da tavolo, i libri, la storia antica, i boschi, gli orsi, gli unicorni, i giochi di Ryan Laukat, le opere di Paolo Chiari e i libri pop-up di Robert Sabuda. Scrive articoli bizzarri su vari aspetti del mondo dei GdT, realizza recensioni grafiche (le Ludografiche) dei giochi che ha provato, crea giochi sotto l'egida della LuxLu GD (con il suo collega Luigi Maini), lavora come grafico freelance per le aziende e agenzie, collabora con lo studio Labmasu come progettista di organizers per giochi da tavolo e, in passato, con la 4Grounds per la progettazione di navi di legno. E trova pure il tempo per giocare e badare alla sua casa. Consumato (e a volte scostumato) master e giocatore di GdR, passa da Eberron agli oscuri miti lovecraftiani con nonchalance, mentre la sua casa è invasa (oltre che da libri fantasy, di illustrazioni, di storia, Funko Pop e altre cose strane) da miniature dipinte e non dei più svariati giochi.

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