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Perché Westworld è il telefilm più avvincente degli ultimi anni?

Perché Westworld è il telefilm più avvincente degli ultimi anni?

Parliamo di Westworld, così, senza grandi preamboli. Perché è un telefilm così cruciale in questo momento della storia televisiva? E perché mi (vi?) irrita che le persone lo definiscano “noioso”?

Sì, la gente definisce Westworld “noiosa”, che ci crediate o no.

ATTENZIONE: Spoiler fino alla 1×07 di Westworld.

Partiamo dicendo che, per ovvie ragioni, l’attrattiva di una serie è differente per ogni spettatore, a seconda del background, del modo in cui si è stati educati e, soprattutto, del livello di istruzione. Con ciò non si intende dire che persone meno istruite non possano apprezzare prodotti complessi, significa semplicemente che alcuni percorsi accademici forniscono strumenti e strategie per andare oltre l’impressione immediata. Ed è questo ciò che faccio, grazie alla preparazione critico-letteraria che sono stata così fortunata da ricevere (sì, ho studiato quello in università), e che mi permette di analizzare cosa c’è sotto il testo (testo inteso come comunicazione complessa e strutturata, non come semplice testo scritto).

Ora, ci sono diverse ragioni per cui Westworld non è una serie convenzionale. Alcuni la hanno definita “lenta”, ed effettivamente posso concedere il fatto che la trama non sia stata affrettata in alcun modo. Ma è una cosa negativa? Personalmente, per ogni ora di episodio, ne passo un’altra a riesaminare le mie impressioni e quei piccoli dettagli che potrebbero dare qualche indizio su cosa sta per succedere, ma soprattutto, a riflettere su cosa significhi tutto ciò per me come essere umano. La trama non è centrale in Westworld, non in senso tradizionale. L’evoluzione, invece, è decisamente fondamentale. E non stiamo parlando di Darwin, stiamo parlando di Freud – o, comunque, il nugolo di quelli che formano il suo campo di competenza.

“Sì, però i personaggi non mi prendono” – Ho sentito dire anche questo. Quindi vediamo.

All’inizio ci vengono presentati dei personaggi stereotipati che un po’ ci aspettiamo, ma succede qualcosa.

Dolores, la brava ragazza della porta accanto, incapace di vedere il male, spezza letteralmente il proprio loop e se ne va alla ricerca della propria verità, della voce che le sta dicendo che il male non solo è là fuori, ma anche dentro di lei; che quel vuoto che si sente dentro può essere riempito, ma non è detto che sarà riempito di qualcosa di buono. Il suo percorso è parallelo a quello di William, e per una buona ragione: vogliono entrambi la stessa cosa, la libertà.

Maeve, la Maîtresse del bordello/saloon che sembra troppo dura di cuore per lasciarsi coinvolgere, è quella che squarcia il velo con più facilità, e dimostra di conoscere la natura degli uomini ben oltre i loro desideri sessuali, ben oltre ciò che ci si aspetta da lei. Anche prima delle modifiche alle sue caratteristiche, lei è l’”intelligenza” nell’intelligenza artificiale. Ma comunque piange la “morte” dell’amica Clementine. Chiamatela bi-dimensionale, vi sfido.

Teddy, innamorato e sfortunato, con il cuore d’oro e un passato terribile, al quale è stata negata una vera backstory, fino a quando non è stato reso parte della backstory più imponente di tutte; e ci viene accennato che potrebbe addirittura essere lui la chiave per arrivare al Labirinto. L’Uomo in Nero sembra pensarlo, dato che ha sacrificato Lawrence per tenersi stretto Teddy, e abbiamo tutti la sensazione che l’Uomo in Nero sia un passo o cinque avanti a tutti noi, quindi perché non fidarsi?

Hector, il bandito alto, bello e senza freni, a cui piace creare il caos a Sweetwater e uccidere per sport. Ma è lui che ci offre un’idea del mondo e delle credenze spirituali degli host, è lui che non vuole fare del male ad una donna quando lei stessa glielo chiede; e non dimentichiamoci che la sua seconda, Armistice, ha la backstory più tosta di tutte.

Ma la cosa non si ferma agli host: Ford, il creatore benigno che sembra amare le proprie creature come figli è, all’inizio, un’eco del Mr. Hammond cinematografico e del suo “Benvenuti al Jurassic Park”. E poi lo vediamo trasformarsi in un padrone crudele che non permette agli host di avere nulla se non quello che lui concede, un’esistenza, ma non la dignità, non la vita. Eppure abbiamo la sensazione che ci sia qualcosa di più, che tutto questo sia solamente una messinscena per ingannare tutti mentre costruisce la sua ultima narrativa, quella che potrebbe concedere alle sue creature la libertà che cercano, oppure distruggere il loro mondo completamente. Quello che ci aspettiamo da questo uomo-Dio è uno specchio di quello che crediamo Dio debba essere, quello che scegliamo di credere che Dio sia, misericordia o distruzione, e questo può dirci molto su noi stessi, se sappiamo leggere tra queste righe.

E poi c’è William. William, che è senza dubbio il personaggio più fondamentale. Il classico stereotipo del bravo ragazzo, che non sparerebbe a nulla, nemmeno ai robot che sono stati costruiti per essere uccisi. Si aggrappa unghie e denti all’immagine che si è costruito di sé, e si rifiuta di lasciarla andare, di dare uno sguardo anche solo fugace a cosa sta sotto, di trovare la sua verità (come Dolores), e non quella che gli è stata imposta dai suoi pari e dai suoi superiori (i programmatori, per Dolores).

E poi qualcosa dentro di lui scatta. Lascia il suo (ammettiamolo, stronzo) amico alla mercé di un’orda di host intenzionata ad ucciderlo, e sceglie invece di salvare Dolores. Perché? Un eroe lo avrebbe salvato comunque. Lasciato indietro, poi, ma lo avrebbe salvato, prima; Logan è, dopo tutto, l’unico altro essere umano in quella scena. William non è un eroe, non nel senso tradizionale del termine. Nulla in Westworld è ciò che sembra, nel senso tradizionale. E non è un segreto che siamo tutti William, siamo tutti tenuti in trappola dalle immagini di noi che ci siamo costruiti da soli, dalle etichette che ci siamo dati o ci sono state date, ed è per questo che William ci piace, ma ci spaventa anche. Perché William potrebbe essere l’Uomo in Nero.

Ma il punto cruciale non è se William sia l’Uomo in Nero oppure no, la vera domanda è se ognuno di noi sia disposto a credere che potrebbe esserlo, se siamo disposti a credere che il suo viaggio di liberazione lo porta a violentare ed uccidere la donna di cui ora sembra così innamorato. Siamo disposti ad accettare che qualcuno che è partito come un brillante giovane pieno di speranza possa finire per diventare un cinico, ossessivo e crudele giocatore? Siamo disposti ad accettare che sotto alle nostre stesse etichette il male potrebbe essere in agguato, in attesa del momento giusto per farci scattare qualcosa dentro?

“Ma la serie è lenta, è noiosa.” – A questo posso rispondere in una sola maniera senza essere maleducata.

C’è la possibilità che Westworld non sia la serie per te, certo. Stai cercando luci splendenti ed esplosioni rumorose e risposte chiare, e non le troverai qui. Perché le vere risposte dovresti trovarle dentro di te. Certo, entro la fine della stagione scopriremo cos’è il Labirinto e a cosa serve, se Arnold sia vivo oppure no, e cos’è successo ad Elsie. Ma se questo è tutto ciò che ti porti a casa, se questo è tutto ciò che vuoi da questa serie, allora il problema non è che questa non è la serie per te, ma che tu non sei lo spettatore (o spettatrice) per questa serie.

Westworld non è la destinazione, è il viaggio.

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