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I Daikaiju-game e il sogno di poterci giocare

I Daikaiju-game e il sogno di poterci giocare

Mai sentito parlare dei daikaiju-game? No? Per forza, il nome me lo sono inventato io, ma sono sicuro che in un modo o nell’altro sapete di cosa parlo…

Devo dire che è divertente inventare nuovi nomi quando mi trovo di fronte a cose bizzarre: in questo gli inglesi sono avvantaggiati dalla loro peculiarità (ma è anche tedesca) a indicare cose con un nome preciso, più che con una frase (“camicia da notte” è “nightdress”… non è fantastico?).

Ma torniamo ai nostri daikaiju-game come li chiamo io. Il termine è supportato dal giapponese “Daikaiju” cioè animale/essere gigante e bizzarro (Godzilla e Gamera sono due famosi Daikaiju) e sta ad indicare quei gioconi giganteschi che hanno la bizzarrìa di essere osannati proprio alla fine da chi non riesce “mai a giocarci”.

La tendenza riguardava più i wargame, ma con lo “scivolare” dei soldatini (e delle navi) fra le scatole dei giochi, sono saltati fuori anche giochi in scatola-mattone, con confezioni pesanti qualche chilo perché piene di segnalini di cartone e regolamenti-dizionario.

Senza fare nomi precisi, per non incappare negli strali di qualche zelante commerciale, dirò che un Daikaiju-game lo riconosci perché ha un milione di segnalini, possibilmente scritti modello lillipuziano, che ti ci vuole il microscopio per leggerli, per segnare TUTTO! Dall’inizio alla fine del round, l’automia dei mezzi coinvolti, le ferite di soldati, i danni dei mezzi, i rifornimenti, le caratteristiche, le condizioni atmosferiche e tutto quello che la fertile mente del game designer è riuscito ad estrapolare dalla realtà (senza un minimo cenno di sintesi), con il risultato che per un setup ci vogliono due ore (e dagli di ziplock, scatolette, valigette per pescatori, mogli incollerite perché hai invaso il tavolo della sala…).

A seguito della mole di cartotecnica viene un regolamento di solito pedantemente documentato, studiato nei minimi dettagli, teso ad imitare pedissequamente (anche qui, senza un minimo cenno di sintesi) ogni aspetto della realtà che coinvolge lo scontro da rappresentare. Ne ho avuto un esempio con un gioco navale piuttosto conosciuto (non voglio dire “diffuso” perché conosco una sola persona che ci ha fatto una partita COMPLETA) dove le tabelle per sparare con un cannone erano talmente complesse che per vedere se il colpo era andato a segno dovevi usare la calcolatrice e dove gli aerei avevano 2d6 di autonomia… vale a dire che ogni turno dovevi smanettare con i d6 per scalare ogni volta la riserva (avrei voluto rinchiudere il game designer in una stanza con tavolo e segnalini per la battaglia di Midway!). Abbiamo cominciato alle nove di sera… il primo colpo lo abbiamo sparato alle due di notte… il regolamento è finito su e-bay alle sette del mattino dopo e non ho chiesto ancora al mio amico se qualcun altro glielo ha comprato.

E tutti ad osannare giochi cui non riesce, naturalmente, a giocare nessuno, perché magari ci vogliono 6 ore per fare un turno… ma ragazzi, un gioco da 6 ore a turno, non è un gioco, è un segone mentale di chi lo ha creato… e viene pubblicato e venduto non a quelli che giocano, ma ai voyeur del campo ludico, quelli che si divertono a stare a bordo tavolo a guardare, o giocano sporadicamente ma magari hanno una batteria di scatole da gioco (ancora incellophanate) a casa. Non si può elogiare un gioco che non ti da il tempo di giocarlo, e anche bene… ma cosa cazzo devi fare per buttare via ore e ore a finire una mossa? Ma che prezzo deve avere un gioco così confronto ad altri? Perché alla fin fine, anche la favoletta che ti tengono impegnato ore quindi ti diverti un casino è una bufala! Vale solo per D&D, o i giochi di ruolo, o quei giochi in cui l’avventura va avanti magari mesi o anni ma il tuo personaggio cresce, fai casino con gli amici, crei situazioni allucinanti… se devi aspettare 3 ore per vedere i frutti di quello che hai fatto (in un turno), o sei un adroide o alla fine ti viene il latte alle ginocchia!

Insomma, i Daikaiju-game sono l’esempio di vendita di sogni: in quel caso ti viene venduto il sogno, un giorno, di poterci giocare. E tu te lo tieni lì, nella bacheca, tutto perfetto e intonso, pensando al mondo che contiene quella scatola, magari ogni tanto aprendolo per sfogliare il regolamento, guardare i segnalini, e poi riporlo a posto con un sospiro dicendo “Che giocone! Se potessi…”

Devo dire con rammarico che simili giochi non hanno nulla di lodevole se non l’impegno profuso nel crearli. Un gioco valido è un gioco con regole eleganti, verosilmili ma non pedisseque, inaspettate ma che creano dinamiche interessanti, e soprattutto che possono tenerti bloccato due o tre ore al massimo (per sessione di gioco ovviamente)… Per il resto, sono solo fissazioni da impallato, esercizi di stile, cose che nessuno userà mai, prodotti che campano di fama generata dal mito… tutto fumo.

Luca "il ludografico"

Il Ludografico (all'anagrafe Luca Canese) è un graphic designer e modellista, con una passione smodata per i giochi da tavolo, i libri, la storia antica, i boschi, gli orsi, gli unicorni, i giochi di Ryan Laukat, le opere di Paolo Chiari e i libri pop-up di Robert Sabuda. Scrive articoli bizzarri su vari aspetti del mondo dei GdT, realizza recensioni grafiche (le Ludografiche) dei giochi che ha provato, crea giochi sotto l'egida della LuxLu GD (con il suo collega Luigi Maini), lavora come grafico freelance per le aziende e agenzie, collabora con lo studio Labmasu come progettista di organizers per giochi da tavolo e, in passato, con la 4Grounds per la progettazione di navi di legno. E trova pure il tempo per giocare e badare alla sua casa. Consumato (e a volte scostumato) master e giocatore di GdR, passa da Eberron agli oscuri miti lovecraftiani con nonchalance, mentre la sua casa è invasa (oltre che da libri fantasy, di illustrazioni, di storia, Funko Pop e altre cose strane) da miniature dipinte e non dei più svariati giochi.

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