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Gli Ultimi Jedi: come il ciclo arturiano ha conquistato la galassia lontana lontana

Gli Ultimi Jedi: come il ciclo arturiano ha conquistato la galassia lontana lontana

Cos’hanno in comune una saga cinematografica che si espande attraverso un arco narrativo di sette (e a breve otto) film e una serie di poemi e romanzi cavallereschi alto-medievali? Molto più di quando si creda.

La notte scorsa è uscito il nuovo trailer di Star Wars: gli ultimi Jedi, ottavo capitolo della celeberrima saga che approderà nei cinema questo dicembre, e possiamo dire che è una gioia per gli occhi. Oltre ad un visual davvero splendido, tuttavia, questo maestoso trailer conferma, anche solo grazie ad un paio di scene, una tendenza narrativa che era già ben evidente nel suo predecessore, Il Risveglio della Forza: un progressivo allontanamento da quello stile che potremmo definire “filo-orientale” e che da sempre ha caratterizzato la filosofia starwarsiana, permeandola in lungo e in largo, dovuta alla mai sopita passione di Lucas per i film del geniale Kurosawa, e un deciso passo verso uno stile che ricorda in maniera potente la grande prosa cavalleresca occidentale, per intenderci quella che ha reso famosi personaggi come Artù, Morgana, Merlino, Lancillotto e Mordred.

Sia chiaro, fin dal lontano ’77 Star Wars è stato un vero e proprio crogiolo di molteplici ispirazioni; dentro di esso sono stati inseriti da parte prima di Lucas, poi di coloro che ne hanno ereditato il timone, tantissimi riferimenti storici e teologici, in quantità tale che non è così improprio ritenerlo un vero mito moderno, una sorta di attuale versione dell’Iliade o dell’Odissea: un’opera che riesce a distillare nel suo dipanarsi attraverso gli anni (sia quelli della finzione che quelli veri) un estratto dei grandi temi umani quali la dicotomia tra bene e male, l’uso del potere, il libero arbitrio e i legami famigliari, accompagnati e sparsi a piene mani, anche a grandi distanze, dall’altro volto della saga, lo Star Wars fenomeno di costume che ha contribuito a definire un’epoca, cinematografica e non solo.

Ma nel caso di Episodio 7 e del film successivo, l’attesissimo Episodio 8 (benché di quest’ultimo si conosca molto poco) è possibile notare che la fonte di ispirazione è molto più specifica, andando a riprendere in maniera singolarmente precisa vari temi caratteristici di quella che è probabilmente la saga cavalleresca più nota in assoluto, ovvero il ciclo arturiano. 

Per la precisione, quello che da tutti è conosciuto come ciclo arturiano è in realtà un vasto ed eterogeneo gruppo di racconti, narrazioni e storie che abbraccia un periodo molto lungo e che viene normalmente chiamato Materia di Britannia. Nel corso dei secoli moltissimi autori hanno attinto da questo intreccio di storie, scrivendone delle loro personali interpretazioni, anche in anni relativamente recenti, basti pensare ai contributi dati da Mark Twain e John Steinbeck, e contribuendo a far entrare il ciclo arturiano nell’immaginario collettivo della società moderna e contemporanea. Questo tipo di letteratura si sviluppò dapprima in Francia, attorno al 1300, ma prendendo ispirazione dall’opera di un monaco gallese, Goffredo di Monmouth, che nel 1135 scrisse la Historia Regum Britanniae. Questa cronaca, celeberrima nell’alto medioevo e considerata il primo vero best-seller inglese, narrava in maniera romanzata le vicende della terra di Britannia, coprendo un arco di circa duemila anni, a partire da Bruto I di Troia, discendente diretto di Enea (ebbene si, colui che si dice contribuì a fondare Roma), fino all’avvento degli anglosassoni nel settimo secolo.

A partire dall’opera di Goffredo dunque, nei secoli successivi sorse una nutrita produzione scritta, soprattutto in versi perché di più facile memorizzazione e trasmissione orale, che attingeva dal contesto storico della Britannia per narrare di avventure romanzesche, amori cortesi e lotte cavalleresche. Erano gli stessi anni delle ben note chanson de geste, ma il ciclo bretone si differenziava grandemente dalla poesia e dalla prosa carolingia: esso non era incentrato sulla lotta all’infedele e il contrasto tra occidente e oriente (quindi niente Roncisvalle), bensì sulla figura del cavaliere errante, l’eroe che si esaltava andando alla ricerca di tenzoni e prove sempre piu’ difficili, atte a mettere alla prova la sua maestria cavalleresca e a garantirgli l’amore delle dame piu’ belle. 

Nell’opera di Goffredo sono presenti praticamente tutti i personaggi a noi più noti, come Artù, Merlino, Lancillotto, Morgana…tuttavia con il passare del tempo e l’avvicendarsi di sempre più autori desiderosi di scrivere nuove avventure e dare il loro personale tocco al mito arturiano essi divennero via via più stratificati, certe parti della mitologia si fusero assieme, proseguendo il loro cammino come un costrutto disomogeneo e caotico formato da una molteplicità di stili, lingue e temi. A dare ordine a tutto questo giunse infine colui a cui dobbiamo probabilmente la trasposizione che è sopravvissuta meglio del mito arturiano e a tutt’oggi quella più conosciuta, ovvero Sir Thomas Malory, un letterato e scrittore inglese del quindicesimo secolo che, nel 1469 concluderà il suo monumentale romanzo intitolato Le Morte d’Arthur, pubblicato poi nel 1485. Esso è composto da un enorme lavoro di traduzione e rielaborazione di tutti i testi francesi e inglesi che trattavano della storia di Artù.  

E’ in questa opera che tutto ciò che è giunto sino ai nostri giorni in merito al mito arturiano assume al forma che conosciamo, ulteriormente rielaborata dalla letteratura moderna, dal cinema e dalla televisione. Ed è qui che la galassia di Star Wars incontra il mito, fin dall’intro di Episodio 7, che si apre con le parole “Luke è scomparso.”

Egli si è ritirato dal mondo, è fuggito alla ricerca del primo tempio dei Jedi, una sorta di Avalon, dopo essere stato “sconfitto” dal figlio della sorella, proprio come il vecchio re Artù viene battuto da Mordred, figlio di Morgause (Organa?) nella battaglia di Camlann. L’antica spada laser appartenuta ad Anakin Skywalker, come Excalibur (il cui antico nome celtico Caliburn significava acciaio lucente e possedeva la capacità di tagliare qualunque materiale), passa nelle mani di Rey, che gioca un ruolo simile a quello di Galvano, il nobile e potentissimo cavaliere (nipote anch’esso di Artù!) che intraprende la ricerca del Graal.

Rey non parte alla ricerca di una coppa però, bensì del suo passato e del suo futuro. Non è un recipiente fisico quello che cerca, bensì una “coppa” che possa contenerla, un suo contesto, come traspare chiaramente dal trailer di TJL.

Mi serve qualcuno che mi mostri il mio posto in tutto questo”

Mentre Rey/Galvano è impegnata nella sua cerca, vediamo Kylo/Mordred venire risucchiato sempre di più dall’oscurità, in un vortice che non vuole (o non può) più arrestare. Dove lo condurrà questo gorgo ancora non ci è dato saperlo, ma possiamo dire che il ciclo arturiano non è gentile con assassino di Artù: egli, catturato da Lancillotto, viene rinchiuso in carcere e morirà di stenti, non prima di aver divorato il cadavere di Ginevra, uccisa da Lancillotto stesso per aver tradito il re.

A tutto questo si aggiungono scene di spade che vengono raccolte dal terreno, grotte oscure e umide, laghi sotterranei, isole solitarie, duelli serrati, armature lucenti e oscure eminenze che tirano i fili del destino…è uno Star Wars che palpita di temi cavallereschi, di una rinnovata filosofia: è vero che il potere corrompe inevitabilmente chi lo possiede? E che esso può essere declinato solo in bianco e nero? O come dice Luke/Artù

È tanto più grande”

Non ci resta che attendere il 13 dicembre per rispondere almeno ad una parte di queste domande e riprendere la nostra cerca, in quella galassia lontana lontana che ci sembra così familiare ma che può riservarci ancora molte sorprese.

Matteo Di Legge

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