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Gone Home – Un viaggio nei primi sussulti del cuore

Gone Home – Un viaggio nei primi sussulti del cuore

1995: una notte di pioggia battente. Convinta di tornare al tepore della propria famiglia, Kaitlin Greenbriar bussa alla porta di casa dei sui genitori. Ad attenderla, papà, mamma e la sorellina Samantha. Ma dall’interno nessuna risposta, e ad attenderla solo un biglietto alla porta…

Sviluppato da soli tre autori, che assieme compongono la Fullbright Company, Gone Home rientra nella categoria, attualmente in netta ascesa ma pionieristica nel 2013, dei cosiddetti “walking simulator”. Il gioco parte da un incipit piuttosto semplice, e volutamente appena accennato. Siamo nel 1995, e nei panni di Kaitlin Greenbriar torniamo a casa dai nostri genitori a Portland. Arrivati sul posto, in una notte di pioggia battente, ci accorgiamo subito che qualcosa non va. La casa appare vuota, e sulla porta un biglietto scritto da nostra sorella minore Samantha ci invita a non cercare spiegazioni su dove sia andata. Inizia così il nostro viaggio all’interno della casa, alla ricerca di risposte.

Risposte appunto…

Come detto, il gioco è un walking simulator, per cui di fatto passeremo tutto il tempo necessario a completare l’esperienza (3 ore scarse, prendendosela con molta calma), a leggere appunti, aprire cassetti, sbirciare nella quotidianità della nostra famiglia, in uno splendido tuffo negli anni ’90. La narrativa, di solito affidata a cutscenes inserite ad hoc, o a folti dialoghi, in Gone Home è demandata agli oggetti.

Nei panni di Kaitlin, entreremo poco alla volta nella vita dei nostri familiari, analizzando appunti, foto, oggetti di uso quotidiano, inserendoci passo dopo passo nella loro intimità, fino a svelarne gli aspetti più reconditi. I pensieri che ci scorreranno in testa sono rappresentati dalla voce narrante di Sam, la sorellina Samantha, che leggerà il proprio diario ogni volta che ci si imbatterà in qualcosa di significativo, di fatto accompagnando l’incedere e sottolineando le svolte di trama, e mitigando quel senso di spaesamento che si prova a girovagare per la casa.

Le storie personali dei componenti della famiglia sono agrodolci, ma ruotano tutte attorno al recente trasferimento presso la vecchia casa ereditata da uno zio. A titolo esemplificativo, il papà di Kaitlin è uno scrittore che dopo un inizio spumeggiante, si ritrova in evidente crisi di vendite, alimentando quello stato di inquietudine e inadeguatezza che si respira in casa. Il tutto, come dicevo, narrato attraverso gli oggetti, senza necessità di essere troppo espliciti, e dimostrando una capacità narrativa da parte degli autori decisamente notevole.

Al fine di consentire un incedere ritmato, quindi senza troppe interruzioni, gli enigmi da risolvere saranno veramente pochissimi, e decisamente facili (trovare una chiave, inserire un codice), e la casa sarà quasi tutta completamente visitabile sin dall’inizio. Non mancheranno, chiaramente, i momenti di tensione, ma ci si renderà presto conto che questa è perlopiù autoindotta, a rimarcare nuovamente l’ottimo lavoro di contestualizzazione effettuato in fase di stesura della sceneggiatura. Delle storie che si presenteranno ai nostri occhi, la più forte è senza dubbio quella di Sam. E non  potrebbe essere diversamente. Svelare i motivi del suo disagio, significherebbe rovinare l’esperienza di gioco, e pertanto eviterò.

Detto così, l’esperienza può sembrare riduttiva, quasi noiosa. E invece no.

Gone Home non è un gioco, non soltanto almeno. È un’esperienza da vivere da soli, come sola è la protagonista. La verità che pian piano si aprirà dinanzi a noi, è dolce e amara al tempo stesso. I temi trattati, su cui sorvolo nello specifico per evitare spoiler, sono profondi e molto maturi, e denotano un attenzione minuziosa alle tematiche giovanili, sempre assolutamente attuali. Il ritmo di gioco è molto compassato, e la trama è resa così bene da fornire al giocatore sempre nuovi spunti e indizi, senza mai scadere nel banale, ma nel contempo senza risultare mai frustrante. La resa contribuisce a mantenere vivo quel senso di inquietudine che si prova appena giunti sulla soglia di casa, per tutta la durata del gioco. La durata contenuta non deve trarre in inganno, in quanto il tempo necessario risulta pienamente adeguato a non rendere il gioco ripetitivo.

La raffinatezza con cui viene presentato, rendono Gone Home una splendida esperienza da vivere. Se siete amanti del genere, o se volete vivere qualche emozione che vi farà battere il cuore, provatelo, e non vi deluderà.

Massimo "Il Nerd Impenitente" Decataldo

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