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The King Is Dead intervista a Peer Sylvester

The King Is Dead intervista a Peer Sylvester

Come si diventa un game designer? Come nascono i giochi che arrivano sui nostri tavoli? Peer Sylvester, l’autore di The King is Dead, ci racconta qualcosa del suo lavoro.

Come tutte le cose che poi, col tempo, sono diventate mie passioni, mi sono avvicinato a The King is Dead perché mi sentivo in qualche modo ‘chiamato’. Non si trattava, ovviamente, di qualcosa di mistico, ma piuttosto di un’intuizione, un capire da subito, senza troppo approfondire, che poteva trattarsi di un gioco nelle mie corde. La prima partita, però, è stata straniante. Otto tessere azione, più il ‘passo’, e un gioco di controllo territorio dove non ci sono fazioni di appartenenza ma un’interazione che definirei ‘scacchistica’. In velocità sono giunto alla vittoria senza sapere bene come. Il fatto è che non immagini subito (o, almeno, io non l’ho fatto) cosa davvero implichino quelle carte e quei cubetti. Poi, però, lo affronti in maniera diversi e capisci come bastino otto carte per rendere un gioco immenso.

Non ho fatto molto caso a chi fosse l’autore del gioco fino a quando non ho provato Polynesia. Polynesia è meno ‘perfetto’ di The King is Dead ma c’è un fil rouge che lega i due titoli: poche e semplici azioni che comportano scelte molto complesse.
Una volta scoperto che l’autore era lo stesso mi sono messo a cercarlo online, a studiarlo e a recuperare altri suoi titoli: Wir Sind Das Volk!, Village Green, Brian Boru… sono rimasto affascinato da questo designer che, anche nel gioco più semplice, mette l’asticella delle decisioni da prendere davvero in alto.
Village Green, per esempio, che non è stato localizzato in Italia, è un semplice gioco di carte dove bisogna costruire un giardino in una griglia. Ci staranno al massimo nove carte giardino che però, per essere piazzate, devono soddisfare determinati requisiti. Il giocatore deve solo pescare e piazzare, ma nessuna scelta è una passeggiata.

Polynesia “apparecchiato” (fonte Board Game Geek)

Questa unione di semplicità e profondità che caratterizza molti suoi titoli mi ha messo la voglia di scambiare qualche parola con Peer Sylvester. Di seguito trovate il risultato di questo desiderio. Se non lo conoscete, vi invito davvero a provare i suoi titoli, perché li ritengo meritevoli di attenzione. Non posso, inoltre, fare a meno di ringraziarlo per la sua disponibilità e gentilezza.


Iniziamo dal principio: quando e come sei diventato un giocatore di giochi da tavolo? E a cosa ti piaceva e a cosa ti piace giocare?
In sostanza sono cresciuto con i giochi da tavolo. Abbiamo sempre avuto in casa il gioco dell’anno e un paio di altri giochi. Non c’è stata un’età in cui non stessi giocando a nulla. Oltre al gioco dell’anno giocavo a scacchi, Skat (un gioco di carte tradizionale tedesco) e più tardi a giochi di ruolo di ogni tipo. Dopo aver giocato a cose più epiche negli anni dell’università, ho scoperto di essere più a mio agio con gli Euro dell’età d’oro, con alta interazione e regole semplici e gameplay sotto i 90 minuti.

Come sei arrivato a creare giochi da tavolo? So che molti designer hanno iniziato modificando dei giochi quando erano bambini, ma io sono più interessato a capire quando si inizia davvero a pensare a un gioco completamente nuovo, che possa valere la pena vendere. Ed è stato difficile entrare nel mondo dei giochi da ideatore?

All’epoca vivevo in Thailandia da poco più di un anno, era il 2004, e non c’era una realtà legata ai giochi da tavolo, quindi sopravvivevo con i Print & Play ed è in quel momento che ho iniziato a scrivere idee tutte mie. Poi mi sono spostato a Berlino e un amico designer, Günter Cornett, mi ha portato a degli incontri di game design e mi son messo a lavorare più seriamente ai miei giochi. Una volta entrato in quel circolo mi sono avvicinato a un paio di altri designer berlinesi e poi è stato abbastanza facile iniziare, perché quello dei designer di giochi da tavolo è un gruppo molto positivo e collaborativo, quindi non ci sono stati problemi.

La maggior parte dei tuoi giochi, o almeno di quelli che ho provato, hanno questa cosa: poche e semplici regole (che li rendono davvero facili da spiegare), ma che richiedono scelte molto difficili durante la partita. Per questa ragione sono facili da giocare ma molto difficili da padroneggiare. Suppongo sia una tua precisa scelta di design, l’avere queste caratteristiche… come le ottieni, se è possibile spiegarlo?

Sì, quelle sono le caratteristiche che mi piacciono e che cerco di ottenere. È anche molto più facile fare i playtest se non hai molte regole da insegnare :-).
Da una prospettiva più di design posso dire che uso un approccio “dal basso verso l’altro”: inizio da un’idea centrale che cerco di implementare con solo un’impalcatura strettamente necessaria affinché l’idea funzioni. Semplicemente aggiungo, se il gioco non riesce a funzionare altrimenti. In questo modo i miei giochi sono costruiti su davvero pochi meccanismi.

Non ho giocato a tutti i tuoi titoli ma, dalla mia esperienza, Wir Sind Das Volk! sembra un gioco diverso rispetto agli altri. Forse perché ci sono molte più azioni possibili. Da dove nasce questo gioco e anche tu senti questa differenza?

Certo, è un gioco per due giocatori e molto più pesante – e lungo – dei miei soliti giochi. La ragione è che volevo fare un gioco che riguardasse le due Germanie in competizione l’una ‘contro’ l’altra. Poiché l’argomento è complesso – in alcuni casi anche un po’ delicato – il gioco richiedeva più regole per riuscire a rappresentarlo in una maniera che fosse significativa. È anche un po’ più lungo di quanto normalmente mi piaccia ma, ancora, la storia e la costruzione lo richiedevano. Mi piacerebbe molto lavorare a un altro progetto di questo tipo, ma ci vuole molto tempo e al momento sto lavorando full time, quindi è molto più difficile…

The King is Dead. Dobbiamo parlare di questo titolo. La prima volta che l’ho giocato era confuso perché, sai, solo 8 azioni… e all’inizio non capisci davvero cosa sta succedendo. Ma la seconda volta che ci giochi, lo fai in modo diverso perché vuoi scoprire come funziona, e a quel punto puoi solo dire “wow”! Ma The King is Dead ha anche una lunga storia editoriale perché è nato come Konig Von Siam, poi è diventato The King is Dead e più tardi ha avuto la sua seconda edizione. Puoi raccontarci com’è nato questo gioco e com’è cambiato nel tempo? E pensi che questa versione finale sia la migliore o rimpiangi qualcosa?

Fonte: Board Game Geek

Come ho detto prima, ero in Thailandia e non avevo giochi con cui giocare. Ero incuriosito dal come la Thailandia (o Siam, com’era chiamata in quel periodo) fosse riuscita a non essere colonizzata, quindi la mia idea era: un conflitto interno che non poteva diventare troppo violento, altrimenti la nazione sarebbe stata colonizzata. Da qui l’idea del controllo territorio e la possibilità che, dopo qualche pareggio, un altro potere avrebbe potuto insediarsi. In origine, comunque, era un gioco molto diverso e non funzionava come volevo.
A Berlino giocai a un prototipo di Bernd Eisenstein dove rimuovevi i seguaci da una regione per fare con questi delle altre azioni. Non riesco a ricordare i dettagli del gioco, ma mi piacque molto il meccanismo del rimuovere cubi, invece dell’aggiungerli, in un controllo territorio. L’ho comunque implementato in un modo diverso e ho aggiunto le carte azione. Quella è stata un’altra idea che avevo avuto: “E se in El Grande tu non potessi riprendere le carte azione usate?” Ho accoppiato le due idee e il gioco ha immediatamente fatto click. Ci sono state alcune modifiche da allora, ma per lo più minuscole.
Il cambiamento principale nella versione Osprey è stata l’ambientazione. Era uno dei primi titoli della Osprey Games e volevano fosse ambientato in Gran Bretagna. Ho anche aggiunto la variante Mordred per dare qualche extra ai fan. Ma sono molto più felice delle carte extra della seconda edizione. Io e Osprey avevamo una lunga lista di cose che potevamo includere e loro hanno attentamente selezionato le cose che sentivano avrebbero cambiato il gioco in modi interessanti, ma senza stravolgerlo. Quindi sono piuttosto contento di questa versione. L’unico rimpianto è che abbiamo sepolto l’idea di avere giochi con piccoli scenari e con ambientazioni differenti e differenti azioni, ma la decisione era giusta così, non penso che le differenze tra le edizioni sarebbero state abbastanza grandi da giustificare giochi extra.

Di solito, quando lavori a un gioco, parti dalle meccaniche o dall’ambientazione? O magari dipende dal gioco che stai sviluppando? E lavori a un singolo gioco per volta o a più giochi allo stesso tempo?

Mi piace dire che inizio da una domanda. Mi piace sperimentare. A volte può essere una domanda come “Come potrebbe essere realizzato un tema x?”, ma altrettanto spesso può essere “Cosa succederebbe se unissi questi due giochi?” o “Cosa succederebbe se in un gioco X tu potessi fare Y o non potessi fare Z?”, proprio come “cosa succederebbe se tu non potessi più riprendere le carte azione?”
Di solito lavoro a più progetti in varie fasi di sviluppo contemporaneamente, così se mi blocco posso provare con un gioco diverso. Questo mi aiuta anche a fare quello che voglio fare ORA, che è importante perché il game design può essere tedioso, a volte, e a volte è un bel pasticcio. (Spero sia il giusto modo di dire ;-))

Ho letto in un’intervista che hai ideato Village Green perché volevi un gioco a cui poter giocare con tua madre. Pensi di ideare giochi da tavolo che soddisfino alcune tue necessità da giocatore?

Oh, assolutamente sì. Creo giochi a cui voglio giocare, ma che non esistono. È la mia motivazione principale. Quella e vedere cosa succede quando sperimento.

Molti dei tuoi giochi hanno un tema storico. Sei particolarmente interessato alla Storia? Cosa rende questa materia così affascinante da essere inserita in un tuo gioco?

Hmm, la Storia mi interessa e vengo ispirato dagli eventi a fare giochi che li riguardano, sebbene ci siano altri argomenti sui quali mi piacerebbe creare giochi. È che, semplicemente, la Storia si intavola facilmente, per così dire; hai alcuni elementi come una mappa, una sezione temporale, giocatori, ostacoli, ecc. che puoi usare come ‘ancoraggio’ per il design. Se usi un argomento moderno, più ampio, probabilmente devi inventarti tutti questi elementi e poi diventa difficile essere originali.

E, a proposito di storia… Let them eat cake. È una sorta di party game con un’ambientazione ‘bizzarra’ (e un regolamento molto divertente) che, ancora una volta, ha regole facili e scelte difficili. Come ti è venuta in mente questa idea?

All’inizio non riuscivo a dormire e pensavo a Junta: cosa mi piacesse del concept, perché non mi piacesse molto il gioco in sé e come si poteva aggiustarlo. Originariamente, quindi, era ambientato in maniera simile, successivamente mi sono spostato vero uno stato ex URSS dopo il collasso. Amavo giocarci e non c’era volta in cui, giocando, non ci si divertisse, tuttavia, la maggior parte degli editori declinava, e poi il gioco Junta: Viva el Presidente! rese il gioco obsoleto per molti editori. Quindi fui piuttosto felice quando Osprey lo prese e cambiò il tema, sospetto per non offendere le persone di quei paesi (una cosa che approvo, sono molto sensibile quando si tratta di altri stati e altre culture).

Hai realizzato anche alcuni giochi trivia e, forse mi sbaglio, ma non vedo molti altri autori conosciuti che lavorano a progetti di questo tipo. Cosa ti interessa di questi giochi?

Come ho detto prima: creo giochi a cui mi piace giocare e mi piacciono molto i giochi trivia. Ogni volta che vado dai miei genitori ad Amburgo giochiamo almeno una sera a un gioco trivia (anche mio fratello maggiore si unisce). Quindi a parlare è il mio DNA da giocatore – e poi i buoni giochi trivia sono davvero pochi.

Devo essere onesto: non facevo molta attenzione agli autori dei giochi a cui giocavo fino a quando non ho intavolato Polynesia. Quando ho scoperto che si trattava dello stesso designer di The King is Dead e di La spedizione perduta (che avevo e mi piacevano) mi sono detto: “Ok. Qui c’è qualcuno che sta facendo cose molto interessanti. Forse devo porre maggiore attenzione agli autori.” E ho iniziato a cercare i tuoi altri giochi. La mia domanda, quindi, è: hai qualche designer preferito e, se sì, cosa ti piace di loro?

Oh, questa è difficile perché sono amico di alcuni di loro :-). Di quelli che non conosco personalmente, sono sempre stato un grande fan di Francis Tresham, che era davvero molto avanti rispetto al suo tempo, in termini di game design! Sono sempre molto interessato a quello che fa Jesse Li, sebbene sia piuttosto silenzioso ultimamente. Ha fatto alcuni giochi davvero eleganti. E il team dietro Similo e King’s dilemma è davvero eccezionale. Questi ultimi sono i miei preferiti degli ultimi anni, tra l’altro il primo è il gioco preferito dei miei bambini, quindi getto sempre uno sguardo sui loro nuovi giochi.

C’è un tuo gioco a cui sei particolarmente affezionato? E perché?

Difficile rispondere, mi piacciono tutti :-). Forse sono un po’ triste per Let them eat cake, perché è affondato presto nel mercato, il che è stato così deludente perché a me piace molto, ma non posso davvero scegliere un preferito. Voglio dire, King of Siam/King is Dead è stato con me per tutta la mia carriera quindi, se proprio dovessi, probabilmente sceglierei quello per tale ragione :-).

Hai anche un blog che parla di giochi da tavolo. Cosa credi che ti offra, il blog?

In realtà mi vedo più come un blogger che come un game designer :-). Semplicemente mi piace analizzare e parlare di giochi (forse è per questo che le mie risposte sono così lunghe). Quindi mi diverto, ma mi dà anche un pubblico e l’opportunità di esplorare alcuni vicoli del game design.

Cosa possiamo aspettarci per il prossimo futuro? Nuovi giochi? E sai se qualche altro tuo titolo verrà localizzato in italiano?

In realtà non so quali giochi avranno quale localizzazione, quella parte è interamente gestita dall’editore, quindi non posso rispondere a questa domanda. Per quanto riguarda nuovi giochi: quello del Covid non è stato un buon momento per fare playtest, quindi anche se ci sono alcuni giochi dagli editori, non ho firmato nessun contratto l’anno scorso. Quindi, ammenoché qualcosa non si muova MOLTO velocemente, non ci saranno nuovi giochi quest’anno. Ci sarà un altro trivia (in tedesco) che uscirà l’anno prossimo (spero) e poi… vedremo. C’è un gioco in particolare sul quale sono estremamente ottimista, che sarebbe un sequel di un gioco di successo, ma non posso ancora parlarne (e non ho ancora firmato nulla quindi sarebbe comunque folle farlo).

Molti dei giochi citati da Peer in questa intervista non sono di facile reperibilità, soprattutto in lingua italiana, ma per tutto il resto c’è MagicMerchant.it

il ciciarampa

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