Gioco dell’anno, ne parliamo con Federico Dumas di Red Glove
Continuiamo a parlare di Gioco dell’Anno, oggi abbiamo interpellato Federico Dumas di Red Glove, che condivide alcune nostre perplessità su questo premio.
Ciao Federico, vuoi presentarti in due righe?
Ciao a tutti! Certo, sarò brevissimo: ho 34 anni, sono l’unico proprietario di Red Glove Edizioni, sono editore ormai da 10 anni. Hobby trekking montano e, ovviamente, giocare!
Stavamo guardando la lista degli iscritti al Gioco dell’Anno 2016 e Red Glove non compare da nessuna parte, come mai?
Già dall’anno scorso qui in sede Red Glove si sviluppa una discussione tra me e altri membri dello staff sul partecipare o meno al premio in oggetto.
Io sono sempre contrario alla partecipazione ma, solitamente, dopo giornate di attacco ai fianchi, vince il mio staff e presentiamo il gioco/i giochi.
Quest’anno, presi da diversi impegni, non ci siamo proprio accorti delle scadenze di partecipazione al premio e… “ho vinto in background”. 😀
Come mai sei contrario?
Premetto che non sono contrario al premio in sé: considero molto importante la creazione di un premio dell’anno che aiuti e sostenga lo sviluppo del mercato del gioco di società in Italia. Anzi, se rispondo a queste domande rischiando di mettermi apparentemente contro i giurati (e quindi magari non vincere più un gioco dell’anno con Red Glove 🙂 ) è proprio perché spero che venga presa come critica costruttiva al premio.
I principali motivi della mia riserva alla partecipazione sono i criteri di valutazione e la struttura del premio, che a mio avviso lo rendono anche poco chiaro nella finalità.
Se si guarda il bando, i criteri sono 5: capacità di introdurre all’attività ludica, idea del gioco, regolamento, materiali e grafica. Come faceva notare Alex in una vostra recensione sul premio, a parte il primo parametro, gli altri quattro sono condizioni abbastanza scontate e di fatto citarle è come non dare nessuna prerogativa specifica.
L’unica parte che, effettivamente, può indicare una direzione è “la sua capacità di fungere da portale introduttivo al mondo del gioco”.
Purtroppo, (e si può aprire una lunga discussione in merito), non riesco a capire cosa si intenda per mondo del gioco.
Per capirlo bisognerebbe porre risposta all’ardua domanda: “Quand’è che un giocatore può essere considerato tale?”.
Un ragazzo che prende in mano un gioco e ci gioca tutte le sere è un giocatore o no?
È un giocatore solo se inizia a collezionare i classici (Agricola, Puerto Rico, Alta Tensione)?
È un giocatore solo se gioca ai german? O agli american?
La risposta è a mio avviso è relativa, ne ho sentito molte e la risposta differisce anche tra i giurati: fra le quali che party game (come Vudù) non aprono il al mondo del gioco (infatti nessun “giocatore” di Vudù ha poi comprato altro 😀 ), o che una persona può considerarsi “arrivato al mondo del gioco” solo se ha 20-30 giochi nella libreria di casa, o che le meccaniche troppo semplici di un gioco family potrebbero alla lunga risultare noiose.
Paradossalmente tutto questo, oltre a rispecchiare un atteggiamento radicalista tipico di quella piccola parte di persone appartenenti alle nicchie culturali, quelli insomma che credono che il classico german poco variopinto sia “il gateway” rispetto ai giochi “seri”, danneggia case editrici come la nostra, che fa perno su giochi che poco hanno in comune con quel tipo di prodotto ma che in Italia vendono a decine di migliaia di occasionali, una parte dei quali, per la legge dei grandi numeri, diventeranno per forza di cose giocatori (qualunque sia l’accezione del termine).
Su questo mi trovi d’accordo, io che non vedo di avere in mano la mia copia di Kepler 3042 e coccolo la scatola di Terra Mystica ogni volta che la prendo in mano, apprezzo moltissimo le serate di tipo “birra e Vudù”. Secondo noi, però, c’era anche un altro punto fondamentale: ci si iscrive al premio, quando forse dovrebbe essere l’opposto.
Sì, la struttura del premio in sé è un po’ sballata. Il premio va a “presentazione” del gioco da parte dell’editore e non a “scelta” della giuria (come uno Spiel Des Jahres per esempio).
Non è nemmeno richiesto che tale gioco sia effettivamente edito da chi lo manda, basta presentare una localizzazione o un gioco multilingua e la partecipazione è automaticamente validata.
Ma, secondo me, per rendere il giusto merito al premio stesso, questo dovrebbe essere assegnato ad un’entità abbia il pieno possesso, libertà e capacità di spingere, evolvere, e sviluppare il gioco premiato.
Deve essere vinto da un’entità a cui interessi vincere il premio e che lo valorizzi in Italia e nel mondo, portandolo come un elemento distintivo, come qualcosa di cui essere fiero.
Deve essere vinto da un’entità che sappia qual è il futuro della sua creazione, che non sottostia alle decisioni di altri, che ne controlli la produzione e che possa sostenere le vendite nel momento in cui ci saranno.
Deve essere vinto da un’entità non per forza italiana, ma che abbia come TARGET l’Italia e produca giochi per il mercato italiano: deve essere realmente interessato a spingere il premio e ad essere spinto dal premio stesso.
E questa entità ha un nome solo: EDITORE.
Un LOCALIZZATORE difficilmente riuscirà nell’impresa, non ha nessuna delle caratteristiche sopra esposta: ha un gioco tra le mani su cui, al massimo, ha lavorato alla traduzione e ad un minimo di advertising (e questo lo dico per esperienza, essendo stato il localizzatore di Galaxy Trucker, Space Alert, La Guerra dell’Anello ecc.) . Il punto è proprio questo: il localizzatore presenta un gioco e vince un premio. È un po’ come dire che il distributore in Italia (XXX) di Inifinity War della Marvel Studios presenti il film a Venezia e vinca. E a ritirare il premio si presenti XXX e non Marvel Studios, il regista, o i produttori. Perché metto XXX? Perché non so nemmeno chi si occupi della distribuzione del film in Italia: solo un appassionato di cinema potrebbe saperlo. Tutto questo, può avere un senso?
Se Infinity War non è presentato a Venezia, è perché Marvel Studios (lasciatemi il paragone, so benissimo che un film come Infinity War non parteciperebbe mai a Venezia) non ha interesse, strategie o motivazioni nel presentarsi a quel premio.
È così che un Augustus è già completamente dimenticato (2013), che il Piccolo Principe è passato come un qualsiasi altro gioco per famiglie (2014) e che Colt Express nel mondo è conosciuto come il gioco che ha vinto l’SDJ, non come quello che ha vinto il gioco dell’anno (basta anche guardare quale logo campeggia in copertina).
Non ce l’ho assolutamente con gli editori né con i giochi in sé, ma scommetto che se Oliphante avesse vinto il premio con Kaleidos o DV Giochi con Dark Tales o Red Glove con Rush & Bash, il logo del gioco avrebbe campeggiato enorme sugli stand e avremmo continuato a sentirne parlare ad oggi.
Quindi sei d’accordo con Andrea Chiarvesio, che recentemente ha parlato di Gioco dell’Anno aperto solo a giochi italiani?
Non necessariamente, non è detto che il premio debba essere per forza solo italiano: se a Space Cowboys o a CGE o ad altre aziende estere interessa il premio italiano, che si facciano avanti, presentino il loro gioco e vadano a ritirarlo in caso di vittoria a Lucca nella serata di premiazione.
E tu chi avresti messo nella cinquina finale?
Non so dirti chi avrei messo nella cinquina finale quest’anno, potrei dirti più facilmente a chi avrei dato il premio. Per me, quest’anno, il vincitore del premio dell’anno è un gioco che non è arrivato nemmeno nelle nomination: Insoliti Sospetti.
Insoliti Sospetti ha tutte le prerogative per acchiappare persone completamente all’oscuro del mondo del gioco e proiettarli in un’esperienza ludica nuova, che si discosta dai classici del supermercato.
Semplice, immediato, condito da molto metagioco (che agli italiani piace sempre), con una riedizione in arrivo, distribuito nel mondo, ed ECONOMICO.
Eh, sì, anche questo ultimo punto nella divulgazione è importante, ma il premio sembra non interessarsi a questo aspetto oppure ha metriche in cui “costoso” è un gioco da 80-90 €, che nel mondo dell’occasionale a mio avviso può inserirsi tranquillamente come “quasi impossibile da prendere”.
Vediamo allora quali caratteristiche avrà il Gioco dell’Anno 2016, ne riparleremo a premio assegnato, intanto siamo arrivati alla domanda di rito su Geek.pizza.
In attesa di una serata ludica dove probabilmente dovremo stare con una mano per terra, alzandoci in piedi e facendo versi prima di tirare i dadi, ci mangiamo una pizza. Che pizza scegli?
Speciale: pizza su base margherita con olive, salame toscano (non piccante) e salsiccia.
Ah, vedo che sei a dieta… non so come ti sia venuta in mente, ma quando ci vediamo me ne fai assaggiare una fetta, io te ne do una della mia!
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