Oggi proverò a trasportare su pixel un’esperienza vissuta nel Liceo dove lavoro: una mattinata di cogestione con un intervento su “Gioco e filosofia”.
Snoccioliamo subito due numeri: l’esperienza si è sviluppata su una mattinata che ha visto susseguirsi tre gruppi di studenti tra le 20 e le 40 unità per gruppo. Ogni intervento di due ore è stato strutturato su due piani: un laboratorio pratico e una rielaborazione teorica dell’esperienza.
Nello specifico, la parte pratica ha visto gli studenti giocare ad alcuni titoli mainstream (quali Dixit, C’era una volta, Citadels, Il castello del diavolo, Timeline, Super Mario LevelUp e HM Dolores), la parte teorica, invece, è stata a sua volta suddivisa in due: una lezione diretta e un confronto per riflettere sull’esperienza vissuta alla luce delle (brevi) noti teoriche proposte. Dunque, iniziamo!
La mattina è soleggiata, il salone è pieno d’ansia, la mia ovviamente (piacerà questa attività? Riuscirò a coinvolgere tutti quelli che si sono iscritti). I tavoli sono accuratamente preparati: il materiale di ogni gioco è sul tavolo e sono pronto a modificare la dotazione iniziale a seconda dei partecipanti. In molti non hanno mai visto un gioco o, al massimo, conoscono i titoli della grande distribuzione. La prima impressione è la velocità della curva d’apprendimento di giochi molto semplici che coinvolgono immediatamente il pubblico che, con un po’ di diffidenza, ha occupato i tavoli a “sentimento”, scegliendo i giochi dalla copertina. Il Castello del Diavolo e Citadels necessitano di qualche minuto in più per essere spiegati e in particolare il titolo di Faidutti ho dovuto guidarlo per un primo turno perché fossero chiare le dinamiche. Dopo non più di dieci minuti per spiegare ad ogni tavolo le regole, si parte. Quello che stupisce (in particolare i colleghi e la dirigenza) è vedere 40 studenti che si dedicano con impegno al gioco in un clima sereno e contenuto. Non ci sono strepitii, l’entusiasmo brilla negli occhi ma non si concretizza in voci vibranti. L’ora di gioco passa veloce. Quasi tutti hanno terminato anche più di una partita (eccezion fatta per Citadels, a cui ho ridotto i quartieri da costruire per contenere i tempi).
Finita l’ora si passa ad alcune riflessioni.
In prima battuta, mi dedico anima e corpo ad una premessa importante: giocare è una cosa seria. Sia i bambini che gli adulti si impegnano nel gioco. I primi poiché si relazionano con il mondo nella forma del gioco: giocare è vivere, e nulla di ciò che fanno è fatto “per gioco”, ma con l’impegno e la serietà che servono ad affrontare la realtà. I secondi perché quando dedicano del tempo a giocare, lo fanno per vincere: vincere o meno è irrilevante, ma l’impegno profuso è identico. La serietà deriva proprio da questo impegno irrinunciabile.
La seconda fase è una panoramica sulla grandi potenzialità del giocare per la vita (con ovvi riferimenti ai grandi classici della letteratura filosofica sul tema, da Callois a Fink, passando per Houzinga e non solo). Si parte ovviamente da Platone, che vede nel gioco un’importante dinamica educativa, poiché i bambini possono imparare attraverso il gioco il loro ruolo nella società. Con una visione più “moderna” ho provato a proporre l’esperienza ludica come qualcosa che possa aiutare a crescere, ma non per imitazione (come per Platone) bensì come simulazione di vita. Il giocatore, infatti, vive esperienze sicure in cui sperimentarsi: conosce se stesso e le sue possibili reazioni a situazioni inattese, attraverso le quali impara a conoscere se stesso (spesso in modi che non poteva immaginarsi); al contempo, egli sperimenta strategie diverse che, se si dimostrano vincenti, può tradurre in esperienze al di fuori del gioco. La portata è evidentemente vasta e importante: si gioca, si cresce e si cambia il modo di vivere la realtà (i miei articoli si fondano proprio su questo assunto: giocare esemplifica situazioni reali rendendole più comprensibili e permettono ai giocatori di sperimentarsi in tali situazioni senza che ci siano conseguenze al di fuori del gioco, se non quelle che il giocatore vorrà “portare fuori”).
Scendiamo poi nel particolare, facendo filosofia attraverso il gioco, con due temi: le regole e la sconfitta. Le regole di un gioco sono lo strumento principale del giocare: senza regole non c’è gioco. Di primo acchito si vedono le regole come costrizioni, che limitano le scelte del giocatore. Così come le regole della società. Ma la realtà è che le regole permettono di giocare: non sono la costrizione del giocatore quanto le fondamenta del mondo ludico. Le regole costruiscono quella realtà che permette al giocatore di esprimere tutto se stesso. All’interno delle regole, il giocatore mostra le sue grandi capacità, l’inventiva e l’azzardo: nel confine (peraltro non stringente) delle regole, il giocatore costruisce la sua partita. Insomma, le leggi e le regole non ci ammanettano ma sono la struttura che ci permette di esprimerci.
La sconfitta, invece, è lo sprone che permette di giocare. Nessuno vuole perdere, ma tutti mettono in conto che possa succedere. In particolare, se non ci fosse possibilità di perdere, nessuno giocherebbe. Immaginate una situazione in cui due contendenti sanno scientificamente, senza ombra di dubbio, chi vincerà e chi perderà. Avrebbe senso giocare? No. Quello che spinge è sempre la possibilità. Quando qualcuno sfida un “campionissimo” lo fa proprio per mettersi in gioco, perché c’è lo spiraglio della vittoria. E il campionissimo stesso gioca perché deve consolidare il suo status, e può farlo solo perché in ogni partita rischia di perdere. Il gioco ci apre alla possibilità, ci fa apprezzare il rischio e, sopratutto, illustra lo stimolo al miglioramento che è il motore della vita ma solo se porta con sé la possibilità di fallire. Il fallimento, però, non è mai la parola fine, quanto una promessa di impegno: rielaborare la sconfitta per prepararsi ad una nuova partita, in cui tentare di raggiungere la tanta agognata vittoria.
Un’ultima parentesi teorica è una parentesi sulla gamification, legata alla realtà e l’impatto del gioco videoludico (di fenomeni come il farming, i mobile game etc…) che qui ci interessano meno.
Infine, il laboratorio si è chiuso ogni volta con un confronto serrato a più voci: cosa ci mostrano questi giochi? Di alcuni vi ho già parlato, di altri vi parlerò in nuovi articoli. Abbiamo per lo più discusso delle doti messe in campo, quali l’empatia, la progettazione, la strategia a lungo termine, la capacità di leggere e interpretare gli avversari. Quello che è interessante, però, e vedere come gli studenti, dopo essere stati incoraggiati dalla lezione teorica, si siano messi ad analizzare e smontare le loro esperienze, rileggendo non solo il gioco, ma la loro partita.
Rileggere loro stessi alla luce dell’esperienza ludica, della loro vita e della filosofia. Potevo essere più soddisfatto?
Un ultima riga dunque per ringraziare gli studenti del Liceo della Rovere per essersi messi letteralmente in gioco. E a voi, per la lettura di un articolo lungo e (scusate!) un po’ noioso!