Sul divano col prof. 6. I soldi e la felicità, la lezione (ambigua) di Mad Men.
Oggi parliamo di una serie che ha fatto scuola: Mad Men. Con le sue sette stagioni, dal 2007 al 2015, Jon Hamm ha invaso gli schermi di milioni di telespettatori per narrarci la sua storia, che parla di soldi, famiglia e lavoro.
Allerta spoiler!
Per le conclusioni che voglio trarre, non mi è possibile non raccontare il finale di serie.
Mad Men è una serie immensa. La recitazione è splendida, così come i dialoghi e le scelte di regia. In quasi ogni episodio è presente uno spunto che andrebbe analizzato e su cui si potrebbe discutere per ore. Inoltre, è di particolare rilievo anche l’ambientazione storica, poiché la serie offre uno spaccato vincente dell’America anni ’60, con tutte le sue contraddizioni, dal punto di vista di una borghesia in cerca di ascesa sociale per mezzo del lavoro.
Sembra che la serie si chieda, dalla prima puntata, quale sia la strada per la felicità. Non una felicità generica, ma la felicità di ognuno. Peggy Olson e il suo dilemma tra carriera e famiglia (con tutte le difficoltà nel far carriera che ha una donna); Pete Campbell, che continua a ricercare l’affermazione lavorativa scalando sulle carcasse dei colleghi e degli affetti che elimina per poter continuare la sua ascesa; Joan, che passa da ambizioni famigliari a sogni di carriera, per poi ritrovarsi nel dilemma come Peggy; Roger Sterling, rampollo che eredita la sua posizione lavorativa e cerca, con ogni mezzo, di ottenere un riconoscimento che sia solo suo; Don Draper, il protagonista, che vive la vita di qualcun altro, chiedendosi sempre chi sia davvero lui e cosa debba fare per essere felice.
Come potete vedere, ogni personaggio (e ne ho citati solo alcuni) meriterebbe un articolo autonomo. In generale, sembra che le direttive (o variabili, o componenti) della felicità siano due: la famiglia e la carriera. A lato, come sempre, si ha il denaro: il mezzo per raggiungere l’una o l’altra strada. La felicità, infine, è collegata alla domanda: chi voglio essere?
Ecco dunque che tutta la vicenda può essere letta come un lungo pellegrinaggio circa la costruzione dell’identità: sono un pubblicitario in carriera, una stella splendente nel panorama della società oppure un padre (o una madre) di famiglia che trova la sua realizzazione nella costruzione e nella coltivazione (l’abitare di Heideggeriana memoria) di una realtà sociale serena e feconda?
Quello che è interessante è proprio la difficoltà di trovare la vera meta del viaggio: Pete Campbell sembra essere deciso nella costruzione unicamente della carriera. Forse è l’unico personaggio che non cambia mai. La sua posizione è sempre e solo la ricerca costante della carriera. Peggy, al contrario, cerca nella grande città l’amore e, a causa della cocente delusione, si riversa nel lavoro. Questo perché si scopre perfettamente idonea al lavoro di copywriter. È brava, lo sa. Don lo sa. Tutti nell’ufficio lo sanno, anche se non vogliono accettarlo. Eppure, per tutta la serie, Peggy rincorre senza tregua la costruzione di una relazione amorosa solida che possa esplodere nella generatività. Allo stesso modo, la vicenda di Joan, ma a “parti invertite”. Joan costruisce una famiglia con un marito che le possa dare una tranquillità economica tale da non dover più lavorare. Il suo progetto di vita è quello di essere madre. Il fallimento della relazione coniugale, però, e la necessità di lavorare per mantenere se stessa, la porterà a scoprire, giorno dopo giorno, il piacere del lavoro e la soddisfazione generata dal successo.
Più complessa (ovviamente) è la situazione di Don. Nato Dick Whitman, orfano costretto a vivere in situazioni di povertà, trova una via di salvezza nella morte in Corea del suo superiore, Don Draper appunto. Egli torna dalla guerra assumendo il nome con cui ha fatto carriera nel mondo della pubblicità. Questa identità segreta, foriera di conseguenze legali se scoperta, ha causato a Don non pochi problemi (uno tra tutti, la costante ansia di essere scoperto). Don è la figura più complicata perché, forse, l’unica che continua a combattere per unire le istanze della carriera e della famiglia. Il suo sogno sembra essere quello di un uomo di successo, socio di una grande agenzia pubblicitaria e, al contempo, un buon padre di famiglia. Eppure, tutti i suoi sogni sembrano naufragare continuamente. Non riesce a consolidare una relazione familiare e non riesce a far prosperare la sua azienda. Questo perché il suo temperamento impulsivo e volubile sembrano portarlo continuamente fuori dal seminato. Non riesce a sottostare alle regole, la fedeltà sembra essere una gabbia che trattiene la sua felicità ma, sopratutto, non trova se stesso.
La rivelazione, però (il colpo di scena) è tutto nell’ultimo episodio. In una sola puntata, sembra che si risolvano le situazioni o, quanto meno, si possano identificare i passi successivi.
Peggy Olson, finalmente, riesce a lasciarsi andare: mette tra parentesi la sua carriera per un momento per progettare la sua vita affettiva. Sembra che il suo sogno sia possibile: carriera e amore.
Joan avvia un’agenzia tutta sua, che realizza i suoi sogni di carriera. Eppure, per questo, perde l’ancora di salvezza affettiva che sembrava poterla salvare da una solitudine irrimediabile.
Pete, che fino all’ultimo sembrava aver occhi solo per la carriera, una volta raggiunta la posizione tanto agognata reinveste le sue forze nella ricostruzione del suo matrimonio. È singolare che lui, forse il più “viscido” dei personaggi, voglia ricostruire ciò che sembrava aver odiato in quanto limite del suo percorso lavorativo.
Infine, Don. Lui è l’ambiguità. L’ultima ripresa, infatti, lo vede sorridere in un ritiro incentrato sullo yoga e la ricerca di sé, dopo aver fatto un breve monologo (rivolto a Peggy) su tutti i suoi fallimenti e le sue bugie. Alla fine, però, la serie si conclude con il più famoso spot della storia (perlomeno fino agli anni 80): “I’d like to Buy the world a Coke”.
La domanda sembra essere: Don è felice perché finalmente ha trovato se stesso? O perché, in quel momento, la serenità lo ha portato all’illuminazione per produrre il più grande spot della storia?
Nessuna risposta. Mad Men non offre il risultato, ma mostra il cammino periglioso dell’esistenza, in una società pregiudiziale (grandi i temi della differenza di genere, dei pregiudizi razziali, della protesta etc…), in cui è difficile capire chi si vuole essere, chi la società vorrebbe che fossimo (ad esempio è indicativa la vicenda del disegnatore omosessuale Salvatore Romano, che tenta di mascherare il suo orientamento e, nel momento in cui cerca di essere se stesso, perde la carriera), e come raggiungere tutto ciò che si desidera.
Questo cammino, è il cammino di tutti. Certo, non tutti siamo pubblicitari, ma tutti cerchiamo la nostra identità e la felicità come realizzazione di essa. Mad Men mostra quali siano i prezzi da pagare, quali le difficoltà, quali i compromessi. E Don, lui non offre risposte, ma solo domande. Alcune delle quali ci disgustano, forse perché capiamo in un momento che sono le nostre domande, a cui però non abbiamo il coraggio di dar voce, perché temiamo la risposta che potremmo costruire.
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