La debolezza di un gioco da tavolo “german”
Al di là dell’eterna lotta fra quelli che non vogliono sentire classificazioni e quelli che ne hanno una loro personale idea, c’è una debolezza che distingue un german da un american…
La distinzione fra giochi german e american è labile tanto quanto quella fra fantasy e fantascienza di cui avevo parlato in un articolo precedente: una questione di posizione, o di fede se vogliamo. Ma come in quel caso c’è un particolare che può fare da spartiacque e che non riguarda necessariamente le regole o l’ambientazione ma… i giocatori, o meglio, il loro grado di immedesimazione.
Perché se in un german ci può essere il piacere della crescita, del “fare punti”, del costruire, produrre e accumulare, ci si sente sempre un po’ un numero, un oggetto che svolge una funzione (produzione, lotta o occupazione non importa) e la distinzione è fare questa cosa meglio degli altri.
Come fossimo deus ex machina anonimi che manipolano il destino di un Puerto Rico o una colonia di Catan, ma con una personalità minore rispetto al gioco. Anche in Puerto Rico, ad esempio, ci sono dei personaggi, ma non sono giocatori, consentono ai giocatori di fare cose ma sono “risorse condivise” (come le definirebbe Walter Nuccio) fra l’altro nemmeno esclusive.
Insomma in un german manca il “calarsi nel personaggio”, avere la sensazione di essere unico, di avere caratteristiche e possibilità diverse e di “diventare” un supereroe (anche un super cattivo!). Non per niente moltissimi American sono dei dungeon crawler, una specie di trasposizione in boardgame di una modalità presente nel gioco di ruolo, con la differenza che i personaggi, nel gioco in scatola, non devono essere costruiti dai giocatori ma hanno già un nome e delle caratteristiche proprie. E ciò è un’altra trappola psicologica simile a quella delle Boys Band: Spice Girls o Take That, ad esempio, “lavorano” sullo stesso stimolo psicoemotivo, quello di essere un elemento distinto all’interno di un gruppo. C’è il/la paladino/a, l’avventuriero/a, il/la cattivo/a, il/la golosastro/a, il/la giocherellone/a… più sono le tipologie di personaggio, più è possibile per il giocatore calarsi in lui (o lei).
Per questo un american tende ad essere più instintuale, più aleatorio, mentre il german tenderà a limitare l’aleatorietà, a dare importanza alla pianificazione, alla riflessione. È come se un american fosse una battaglia mentre un german fosse la guerra: l’obbiettivo si sposta dalla tattica american alla strategia german, si spersonalizza e perde la carica emotiva che ha il partecipare “in prima persona” alle cose.
La debolezza di un german è quindi quella di “spegnere” l’individualismo, di consentire una scarsa immedesimazione e di non dare i risultati immediati che un american ti dà.
Debolezza, sì, ma non certo demerito. Perché se si “scavalca” l’ostacolo del voler essere il protagonista eroico, la voglia di tutto-e-subito, un gioco di pianificazione da un piacere diluito e duraturo, un senso di soddisfazione maggiore e la certezza di avere la situazione in pugno, non per forza determinata dal risultato di un dado (che può essere gestito) ma sicuramente maturata dalle proprie capacità.
Ma a sto punto, provocatoriamente, mi chiedo: non è che chi odia i german lo fa perché, in caso di sconfitta, non può “dare la colpa ai dadi”?
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