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Ludopedia: La sintesi nei giochi da tavolo

Ludopedia: La sintesi nei giochi da tavolo

Nell’espressione scritta e orale la sintesi si opera quando si estrapola da un testo o da un discorso le parti più significative, tralasciando quelle accessorie, rendendo così il discorso più breve e incisivo. E quando si parla di giochi, è l’aspetto che ci aiuta a distinguere un regolamento di gioco da un “trattato” di gioco…

La sintesi, nei giochi in scatola, è una vera eminenza grigia (come l’abate François Leclerc du Tremblay lo era per il Cardinale Richelieu): indica un aspetto molto influente ma poco visibile che indirizza e aiuta le meccaniche, investite ufficialmente del potere di far funzionare il gioco stesso, nel generare dinamiche efficaci ed efficienti allo scopo di rendere il gioco divertente e coerente… in poche parole giocabile. Detta così, è un concetto un po’ astruso… vediamo quindi di farne un esempio “pratico” partendo da una meccanica del gioco Arkham Horror: quella che gestisce gli indizi.

Per farlo è necessario analizzare il problema, cioè cosa la meccanica dovrebbe richiamare. Durante una qualsiasi indagine, la chiave è raccogliere indizi che ti permettono di risolvere il caso: a questo proposito ci si sposta, si prendono mezzi, si interagisce con personaggi, si raccolgono testimonianze ed oggetti significativi, e la nostra messe di informazioni dovrebbe portarci ad una conclusione, a “fare qualcosa” per risolvere il caso.

Se noi traducessimo pedissequamente questo aspetto in un gioco da tavolo, dovremmo, ad esempio, predisporre un mazzo di carte di Dichiarazioni e un mazzo di carte di Oggetti (magari divisi a seconda di dove devono essere trovati): quando un personaggio vuole  interagire con una persona si pesca dal mazzo Dichiarazioni, quando vuole eseguire una ricerca si pesca da quello degli Oggetti. Ci saranno persone che fanno dichiarazioni utili e altre no, così come potremmo trovare oggetti pertinenti o oggetti che con il caso non c’entrano niente. Del resto, anche nella realtà sarebbe così. Ma nella realtà non è tutto completamente aleatorio: è ovvio che interrogando chi è più vicino alla vittima abbiamo più probabilità di ottenere indizi utili che non interrogando uno che l’ha vista di sfuggita, quindi il nostro ipotetico mazzo Dichiarazioni dovrà essere smistato a seconda dei personaggi interrogati… e via così, di affinazione in affinazione, sempre più simili alla realtà, con sempre più regole, sempre più aspetti da verificare, sempre più cose da mettere insieme… finisce che il gioco ha un milione di carte indizio, un papiro di regole da studiare e la sua collocazione diventa la nostra bacheca di giochi a prendere polvere. In un gioco già complesso come Arkham Horror, poi,  sarebbe la fine.

Proprio per questo Arkham Horror ne attua una sintesi geniale: gli indizi sono segnalini, vengono raccolti dagli investigatori, a volte per effetto di carte, a volte per abilità, a volte per semplice stazionamento su un luogo (il che rende la meccanica “fusa” in altre meccaniche di gioco) e il loro semplice accumulo permette di ottenere dei risultati (es. spendendone 5 si chiude un portale, oppure ognuno dà diritto a rilanciare un dado e così via). Il problema è sempre lo stesso: spostarsi, interagire e accumulare indizi… ma la resa è molto diversa perché, nella sua semplificazione, consente la fluidità del gioco, senza impoverirlo e dandone la stessa esperienza. Questo, secondo me, è un modo piuttosto elegante di affrontare un problema nell’ideazione di un gioco da tavolo che sia giocabile.

Nei giochi, fare una sintesi non è per niente facile e spesso i game designer, soprattutto quelli neofiti o improvvisati (ma anche gli esperti non ne sono immuni), cadono nell’errore di averne troppa (e finire nel gioco banale) o non averne abbastanza (e naufragare nei Daikaiju – Games, ovverosia i giochi che strabordano di regole e segnalini per simulare TUTTO): nel primo caso si cerca di sopperire con una bella grafica e delle belle miniature, nel secondo con gli appassionati dell’argomento del gioco stesso (ahimé, spesso quello storico e/o di guerra…)… ma questo è un altro discorso.

Come fare per riuscire ad avere una capacità di sintesi che non cada nella povertà di contenuti o nella “baroccaggine” di regole?

La ricetta è sempre la stessa: studiare. Nel caso dei giochi è anche divertente. Provare giochi diversi, divertirsi a “smontarne” le meccaniche, abituarsi a valutarne le dinamiche e le misure (in termini di tempo di gioco), vedere come risolvono certi aspetti e la sensazione che ne traiamo, sentire pareri diversi e verificare i propri, allenarsi al Pensiero Laterale postulato ad esempio da Edward De Bono e cioè analizzare il problema da più punti di vista, smembrarlo nelle sue parti significative e vedere come risolverle. E soprattutto, una volta risolta una meccanica, verificare sempre come interagisce con le altre nel corso del gioco nella sua interezza. E’ così che si arriva a quello che Walter Nuccio definisce, nel suo libro “La progettazione dei Giochi da Tavolo”, una “meccanica elegante”, che magari ha più ruoli all’interno del regolamento.

Bisogna – operare – sempre – una – sintesi!

Del problema da risolvere, della situazione da simulare, della tempistica da rispettare. La sintesi può aiutarvi anche a tenere il gioco in un limite di tempo accettabile, a mantenere l’attenzione sulla situazione di gioco piuttosto che sulle operazioni atte a simularla. Sintesi non è sinonimo di “lacuna”: operare una sintesi significa considerare i vari aspetti di una situazione ma trovare un modo creativo e dinamico di renderla in un gioco da tavolo. Che, tanto perché sia chiaro, non potrà mai, neanche con un milione di regole (e segnalini) simulare perfettamente la realtà.

Ricordo, molti anni fa, alcune partite al wargame SeeKrieg, gioco di simulazione di battaglie fra navi. Gioco particolareggiatissimo, che al tempo mi aveva gasato alla grande ma che poi, giocandolo, si è rivelato per il “trattato” di gioco navale che era: calcoli astrusi, mille orpelli, alzo, vento, posizione, triangolazione, velocità, tipo… un delirio sparare con un cannone. Certo, tutto molto realistico, curato, fatto da un vero esperto nel settore… ma, cazzo, io voglio sparare con la Vittorio Veneto, non segarmi il cervello calcolandone il tiro. Abbiamo cominciato alle nove di sera… il primo colpo è andato a segno alle due di notte (non sto esagerando… è andata proprio così).

E quindi a questo punto pronuncio il mio (personalissimo) BASTA!

BASTA con i trattati di gioco privi di una sintesi efficace e camuffati da gioco VERO. I trattati di gioco sono giochi dove la “sacra” sintesi viene vilipesa e spacciata per faciloneria, per gioco da bambini, mentre un gioco VERO usa la sintesi per mantenere coerenza ed equilibrio, per non far strabordare un aspetto a scapito di un altro e per far godere l’esperienza di gioco in modo più soddisfacente e completo. Beninteso: onore a chi si sbatte per fare della sue passioni un gioco, è sicuramente un luminare in quello che fa e la sua preparazione e il suo impegno sono ammirevoli… ma un games designer fa della sintesi un’arte, non una vergogna.

A proposito di arte… l’arte del comprarsi un nuovo gioco dove la mettiamo? Io intanto mi faccio un giro su MagicMerchant.it per allenarla…

Luca "il ludografico"

Il Ludografico (all'anagrafe Luca Canese) è un graphic designer e modellista, con una passione smodata per i giochi da tavolo, i libri, la storia antica, i boschi, gli orsi, gli unicorni, i giochi di Ryan Laukat, le opere di Paolo Chiari e i libri pop-up di Robert Sabuda. Scrive articoli bizzarri su vari aspetti del mondo dei GdT, realizza recensioni grafiche (le Ludografiche) dei giochi che ha provato, crea giochi sotto l'egida della LuxLu GD (con il suo collega Luigi Maini), lavora come grafico freelance per le aziende e agenzie, collabora con lo studio Labmasu come progettista di organizers per giochi da tavolo e, in passato, con la 4Grounds per la progettazione di navi di legno. E trova pure il tempo per giocare e badare alla sua casa. Consumato (e a volte scostumato) master e giocatore di GdR, passa da Eberron agli oscuri miti lovecraftiani con nonchalance, mentre la sua casa è invasa (oltre che da libri fantasy, di illustrazioni, di storia, Funko Pop e altre cose strane) da miniature dipinte e non dei più svariati giochi.

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