Al tavolo col prof. 6, centrare l’obiettivo: KeyForge e Warchest
Oggi parleremo dell’importanza di mettere bene a fuoco i propri obiettivi, e lo faremo con due titoli: KeyForge e Warchest.
Il primo titolo è ormai sulla bocca di tutti i giocatori (se n’è parlato ampiamente anche su Geek.pizza), mentre il secondo è un piccolo gioiellino uscito all’ultimo Essen. Ma andiamo a vedere di cosa intendiamo trattare!
Spesso, parlando con i miei studenti, chiedo loro quale sia il loro obiettivo nella vita. Almeno uno tra questi mi risponde, ogni volta, avere molti soldi. Eppure, essere ricchi non può diventare un obiettivo poiché, ragionando un poco, si comprende che il denaro è solo uno strumento per raggiungere altro. Analizzando la questione si raggiunge spesso a comprendere come, in un modo o nell’altro, lo scopo della vita sia la felicità.
Il problema, che nel gioco della vita diventa cruciale, è distinguere molto bene quali siano gli obiettivi e quali, invece, siano solo “scopi strumentali” ossia mezzi per raggiungere obiettivi che possiamo definire autonomi. Ci sono obiettivi, infatti, che servono per raggiungerne altri e quelli “autonomi” che hanno scopo in loro stessi. Per essere più chiari: i soldi sono fini strumentali che servono a costruire una casa e una famiglia, che mirano a costruire l’obiettivo autonomo della felicità…
Come capire questo meccanismo attraverso il gioco? Con i due titoli che abbiamo citato: KeyForge e Warchest. Entrambi i titoli, infatti, si presentano come giochi di battaglia in cui, però, la vittoria non si conquista tramite l’annientamento del nemico.
Iniziamo da KeyForge. Il genio di Garfield ha sfornato quello che sembra essere un nuovo successo: un gioco di carte, incentrato sul sistema di mazzi unici non modificabili, che vede sfidarsi due giocatori (o Arconti) nel tentativo di forgiare, per mezzo di ambre, tre chiavi. Le meccaniche del gioco sono risapute e, sicuramente, molti recensori le hanno illustrate meglio di quanto possa fare. Quello che è per me interessante è osservare i giocatori di Magic (figlio primogenito dell’autore): questo tipo di giocatori è molto bravo a controllare il tavolo ma, spesso, si accanisce contro le creature avversarie perdendo di vista l’obiettivo della gara. Schierano creature aggressive, attaccano e tendono a spazzare via le creature avversarie ma non raccolgono abbastanza ambra trovandosi a perdere partite che avrebbero potuto dominare (questo, perlomeno, è accaduto nelle prime partite). Perché ciò accade? Perché i giocatori hanno continuato a perseguire l’obiettivo di Magic (annientare l’avversario) che in KeyForge è invece solo uno strumento, e neanche troppo efficace se perseguito da solo. Come nel caso succitato, la partita è persa perché si persegue lo strumento e non il fine.
Un altro caso di sconfitte cocenti si può riscontrare in WarChest. Questo titolo prende spunto dagli scacchi e si presenta come un bag building: ogni giocatore ha un sacchettino in cui mette delle fiches rappresentanti le varie unità a sua disposizione che estrae a gruppi di tre per schierare, muovere e attaccare sulla plancia. Il gioco, davvero splendido sia per meccaniche che per componenti, si vince attraverso il controllo del territorio: a volte si può vincere una partita senza uccidere nemmeno una pedina avversaria, ma semplicemente muovendosi velocemente e in modo “furbo” sulla plancia. Infatti, lo scopo dei giocatori è conquistare sei postazioni in modo tale da ottenere il controllo della plancia. Anche in questo caso, due sono i problemi che possono nascere dalla confusione tra scopi e strumenti. Da un lato, attaccare le pedine avversarie (sebbene possa aiutare a vincere) rischia di lasciare mano libera all’avversario che potrebbe vincere la partita sotto il naso. D’altra parte, voler schierare numerose truppe sulla plancia, rischia di svuotare le vostre disponibilità nel sacchetto portando la vostra partita ad un immobilismo che significherà sconfitta certa.
Qual è il vero problema? Il pericolo, nei giochi presi in esame e, sopratutto, nel gioco della vita è quello di perseguire obiettivi strumentali come se fossero obiettivi autonomi: cercare l’annientamento dell’avversario senza tenere d’occhio la forgiatura delle chiavi o il controllo del territorio; perseguire la ricchezza senza avere il progetto di utilizzare il denaro per qualche altro scopo svuota la vita e l’azione rendendola vana.
Due sono i rischi simboleggiati entrambi da Zio Paperone. Da un lato, infatti, rischiamo di non essere mai soddisfatti: come Paperone cercheremo di accumulare obiettivi strumentali i quali, non avendo un progetto di utilizzo, vengono raccolti senza sosta e, quindi, senza felicità. Pensate allo Zio miliardario che, senza sosta, cerca monete su monete per riempire la piscina ma non si gode mai la vita, perché diventa avido e schiavo dei suoi desideri irrazionali. D’altra parte, collegato all’accumulo avido di fini strumentali, abbiamo la mancanza di significato: raccogliere monete, infatti, non ha altro scopo che raccogliere monete per tuffarsi dentro e nuotarci, ma può essere davvero questo il fine della vita? Si uscirà vincitori dalla partita dopo aver raccolto monete che, però, non possono essere scambiate con punti vittoria? Sedetevi al tavolo, giocate e chiedetevelo!
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