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Cowabunga!

Checkpoint Charlie – Non mi pare proprio il caso…

Tanti li detestano, molti non capiscono perché vengano usati, altri li considerano addirittura nocivi agli equilibri del gioco. Ma nel gioco di simulazione, quando parliamo di dadi, la fortuna non c’entra quasi per niente.

Da sempre questi piccoli cubetti con i numeri su ogni faccia, come anche le carte o la pesca di segnalini alla cieca sono stati visti come il segno che il gioco in cui li ritroviamo è dominato dalla semplice fortuna. E dove entra lei, l’abilità e l’intelligenza se ne vanno, indignate per l’arrivo di questa scomoda coinquilina. Eppure, i primi a includere il dado nel gioco di simulazione furono gli ufficiali prussiani creatori del Kriegsspiel, quindi non proprio gente frivola e amante dell’azzardo. La loro decisione fu dettata invece da motivi puramente statistici, legati alla loro esperienza sul campo: in guerra e in generale nella realtà possono sempre accadere degli imprevisti che rovinano i nostri piani migliori, e il compito di un buon comandante è quello di inserire nei suoi calcoli anche la sfortuna. È un bell’insegnamento questo, ovviamente da estendere al di là del campo della tattica e della strategia, e ci ricorda che in questo genere di giochi il segreto è proprio quello di modificare le condizioni del singolo scontro ottenendo modificatori positivi e muovendoci tra le colonne delle tabelle, di modo da ridurre al minimo i rischi. Tenendoci comunque pronti a gestirli, perché qualcosa andrà sempre storto!

In più, nel gioco di simulazione, il caso non è mai “neutro”: le tabelle, i modificatori, i valori delle pedine sono diversi da gioco a gioco, e la distribuzione degli esiti che si possono ottenere è appositamente concepita per integrarsi nella visione che l’autore ha degli eventi rappresentati. Provate a confrontare le tabelle di un gioco sulla Prima guerra mondiale e di un altro sulla Seconda: rimarrete stupiti dalle differenze!

Di tutto questo parliamo a Checkpoint Charlie, il podcast dedicato al gioco, alla storia… e a tutto il resto.

Riccardo Masini

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