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Gioco, una bolla o una realtà?

Gioco, una bolla o una realtà?

Il gioco è un’attività per bambini o per adulti? E se lo è anche per gli adulti, allora perché sembra di essere in una bolla di giocatori, dove il resto della società, al più, è solo spettatrice in particolari feste?

Come presidente di un’Associazione Ludica ho affrontato, nel corso del mio mandato, numerose scelte legate prima di tutto alla natura da dare all’Associazione: essa infatti può essere semplicemente un punto di ritrovo per appassionati, per condividere la passione del gioco e passare dei bei momenti assieme, oppure può diventare una “fucina” di eventi, dalla quale viene diffuso uno o più giochi, oppure, ed è questo forse il passo più difficile e complicato da fare, utilizzare il gioco per portare alla società qualcosa di più, anche soltanto riflessioni su particolari temi che ci stanno cari e che, spesso, utilizzano il gioco come “mezzo” e non come “fine”.


Come Presidente, da almeno un anno, sto cercando di perseguire quest’ultimo scopo e, devo ammetterlo, è un percorso non facile: almeno nella mia realtà cittadina, quale può essere Cuneo, il gioco non è ancora visto come uno strumento, anche nell’ambito educativo, e questo rende tutto più difficile perché mancano le esperienze, i contatti e le eventuali prove passate: anche in ambito italiano, se non con eccezioni che si stanno però moltiplicando in tutto il territorio, è ancora difficile vedere eventi dedicati a usare il gioco da tavolo e di ruolo in un ambito sociale o educativo.


Tutto ciò, tra l’altro, si scontra con quella che definisco “bolla”: entrando nel “magico” mondo del gioco da tavolo e di ruolo può sembrare (e lo è) che il settore e i giocatori siano floridi, vivi e che “tutto” ormai sia gioco; eppure non è così e la “realtà” mi ha riportato bruscamente a dover ripensare a tutto ciò: infatti, alcuni giorni orsono, ho avuto un incontro con diverse realtà associative con lo scopo di organizzare un evento e il gioco, seppur portato come spunto di discussione e di come potesse essere malleabile non soltanto a essere “giocato” ma a interallacciarsi con esperienze e storie, è stato visto in modo molto freddo, con l’aspetto “ludico” visto come associato, nelle sue forme più innocenti, alla briscola o allo sport.

Questo “problema”, tra l’altro, non è nemmeno associabile solo a un aspetto “generazionale”, in quanto anche con altri eventi dove il fulcro è il gioco e si cerca di coinvolgere giovani la partecipazione può essere anche ricca, ma il tutto si limita lì, senza poi vedere successivamente un vero ritorno di “tesserati” o anche solo interessati.
Il gioco, almeno nei suoi sviluppi di gioco di ruolo e gioco da tavolo in Italia, vede, salvo gli eventi più grandi quali ad esempio il Modena Play, ancora uno sviluppo tutto da verificare perché, seppur stia crescendo a ritmi vertiginosi (almeno nel suo aspetto più ludico) fatica ancora a trovare una dimensione sociale, da una parte con il sostanziale rifiuto di vedere il gioco non solo come “intrattenimento” fine a sé stesso, e dall’altra con già voci che criticano l’eccessivo uso della gamification in ambito lavorativo e aziendale.

Eppure il gioco di ruolo e il gioco da tavolo, anche grazie ai vari progetti Crowdfunding in corso o completati, stanno vedendo la nascita di giochi tesi a ripercorrere esperienze e storie del presente, del passato o del futuro, come “Stonewall 1969” o “Trincea 1917”.


Ed è quindi necessario che le associazioni ludiche d’Italia (e ci sono già numerosi esempi virtuosi, come può essere “La Gilda” del centro LGBTI+ Cassero o organizzazioni come “Educatori Ludici” con i loro corsi per diventare “operatori ludici”) si impegnino non soltanto a far giocare, che è sicuramente il nostro primo scopo, ma anche a permettere che il gioco possa diventare uno strumento per veicolare messaggi, storie e valori per arricchire la nostra società, oggi troppo presa da una frenesia e da uno “spirito” che rischia di assorbire tutto e di non restituire nulla.

Fabio Scala

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