Interviste Atipiche – Una chiacchierata con Sonia e Stefano autori di Whakaari
Whakaari è un party game che ha conquistato anche il mio cuore da giocatrice German, così ho deciso di intervistare Sonia e Stefano autori del gioco per porgli alcune domande su com’è nato questo progetto.
Grazie ragazzi per aver accettato di rispondere alle nostre domande. Prima di tutto vogliamo mostrare ai nostri lettori chi sono Sonia e Stefano. Volete farci una vostra breve presentazione?
Figuratevi! È sempre un piacere condividere la nostra esperienza. Mi chiamo Sonia, ho 29 anni, nella vita faccio la Planner per un’officina Farmaceutica. I miei hobbies sono leggere, imparare cose nuove e guardare serie tv.
Io sono Stefano, ho 28 anni, e faccio il game designer di professione. Oltre a giocare e videogiocare mi piace molto cucinare e inventare ricette… Che a volte si rivelano dei veleni per Sonia, ma altre vengono fuori molto bene. Ci piace molto fare anche escape room sia dal vivo che da tavolo, spesso con i nostri amici andiamo a scervellarci. La nostra preferita per ora è Birth Machine.

Come nasce la vostra passione per i giochi da tavolo? Qual è il gioco preferito da Sonia e quale quello di Stefano? Ma soprattutto come nasce l’idea di crearne uno? E poi perché un party game?
Sonia: La mia passione è nata grazie a Stefano, perché in realtà non sono mai stata una giocatrice accanita. L’idea di crearne uno è nata dalla voglia di mettersi in gioco nella prima game jam di Napoli, (un evento in cui i partecipanti sono invitati a creare da zero un gioco da tavolo). Abbiamo scoperto questo evento e ci siamo detti: perché non farlo? Il genere party game perché la mission di Stefano è sempre stata quella di portare i giochi da tavolo nelle case di chiunque, divulgando il più possibile la cultura del gioco da tavolo e quale modo migliore se non un party game? I miei giochi preferiti sono El Dorado e Xi’an, per la loro velocità di spiegazione ma allo stesso tempo per la giusta dose di strategia.
Stefano: Il mio gioco preferito, attualmente, è Paleo seguito subito da Kingdomino. Cito questi solo perché sono i più recenti sui quali ci siamo soffermati molto, ma potrei fare un elenco infinito. Dovuto anche alla mia professione mi piace spaziare tra diversi generi e titoli, quindi più ne provo meglio è. La jam è stato un evento perfetto dal momento che Sonia ha dei parenti a Napoli ed io cercavo il modo di emergere in questo settore per riuscire a lavorarci dall’interno.
La combinazione tra luogo, competizione e noi che avevamo iniziato a fare dei giochini nostri durante il COVID per passare il tempo ci ha portati a creare The floor is lava, che successivamente diventerà Whakaari.
La scelta del party game deriva dal fatto che abbiamo preso come giocatore di riferimento le persone che ci circondano, quindi volevamo qualcosa che facesse divertire gruppi numerosi, di qualsiasi età e con il giusto compromesso tra strategia e fortuna.

Quando siete arrivati all’Italian Game Jam avevate già un’idea del vostro gioco? Avevate già creato qualcosa?
Naturalmente siamo arrivati alla jam pieni di idee, ma la verità è che una volta là le abbiamo cestinate tutte per goderci a pieno l’esperienza Jam, anche sotto consiglio di uno dei giudici. Ed è stata la mossa vincente.
Quando avete vinto e avete visto la vostra idea prendere forma cosa avete pensato? Vi aspettavate la vittoria?
L’idea è piaciuta ai giudici fin da subito. Nonostante fosse chiaro che c’era interesse, non ci aspettavamo la vittoria perché c’erano designer e giocatori molto più navigati di noi, mentre alcuni avevano una stampante in jam (alcuni prototipi erano pronti e graficati per lo scaffale), noi tracciavamo bruttissime linee con i colori sulle carte.
Creare un gioco da zero non è sicuramente semplice. Qual è stata la parte più difficile della creazione del vostro progetto? È cambiato tanto rispetto all’idea iniziale?
Creare un gioco da zero è un’esperienza da vivere, a volte è difficile comprendere quanto sia articolato e quante figure in campo richieda. Per fortuna abbiamo avuto il supporto di Marco Valtriani che ci ha dato le giuste direttive per farci lavorare al meglio. La parte più difficile è stata la tematizzazione, elemento cruciale per l’esperienza che volevamo ottenere, ovvero di paura, instabilità e imprevedibilità, complice anche l’esistenza di un gioco dal titolo The floor is lava. Infatti l’idea dell’ambientazione Tiki e lo scenario sono a nostro avviso perfettamente azzeccati. Naturalmente qualcosa è cambiato rispetto all’inizio, ma non molto. L’esperienza di gioco principale è rimasta pressoché intatta. Credo che la parte più difficile sia stata convincere l’editore sul tema poiché c’è stato un momento in cui ci avevano proposto di cambiarlo.
La casa produttrice del gioco è la Tambù di cui Stefano ad oggi fa parte vi siete sentiti supportati nel vostro progetto? Avete avuto libertà nelle scelte del vostro gioco? Il titolo del gioco Whakaari l’avete scelto voi? Da cosa nasce?
Abbiamo sviluppato il gioco principalmente in autonomia, con il supporto, quando necessario, di Tambú. Sicuramente nella parte di grafica e illustrazioni abbiamo lavorato molto in sincronia per raggiungere il risultato finale. È stata una bella collaborazione fatta di aggiornamenti periodici durante tutto lo sviluppo. L’approccio adottato da Tambú era per lo più farci crescere come game designer grazie alla leadership di Marco. Questo è stato uno dei punti chiave che poi mi hanno portato a lavorare direttamente in Tambú.
Il nome Whakaari nasce da un’isola vulcanica esistente, la scelta deriva principalmente per il suo nome che ci suona quasi come un’onomatopea. Partendo da questo concetto poi abbiamo usato la fantasia per creare lo scenario con la lava, i Tiki e un vulcano decisamente imprevedibile
La grafica mi ha riportato all’infanzia ricordandomi molto Crash Bandicoot e la maschera di Aku Aku è stata una cosa voluta?
Il richiamo a Crash Bandicoot non è assolutamente fortuito anzi, siamo contenti che sia facile cogliere la reference ispirata a ricordi di una bella infanzia.
Quanto tempo c’è voluto per vedere materialmente realizzato il gioco? E soprattutto come vi siete sentiti quando avete avuto in mano la scatola definitiva?
Diciamo che ci sono voluti 18 mesi per vedere il gioco realizzato. Abbiamo avuto delle difficoltà tra trovare la tematica giusta. Infatti ci sono stati alcuni rallentamenti con la produzione ma aver avuto la scatola in mano, dopo il percorso così lungo, è stata una bellissima sensazione, ci siamo emozionati molto..

Avete in mente altri progetti nel mondo dei giochi da tavolo? Bolle già qualcosa in pentola?
Abbiamo qualcosa in pentola, con dei nostri cari amici e content creator (love in boardgame), ma è ancora tutto segreto. Dovrete restare sintonizzati!
E per concludere la nostra domanda di rito (visto anche che alla Game Jam vi siete presentati con il nome di Pizza Gioco e Mandolino). Si festeggia l’uscita del vostro gioco che pizza ordinate?
Sonia: sicuramente zola e salame piccante.
Stefano: La pizza che ordinerei è sicuramente una bella diavola con al centro una mega mozzarella di bufala che erutta, buon appetito!
Quasi quasi vado con i ragazzi a giocare a Whakaari e mangiare una bella pizza….
Se vi è venuta fame… non abbiamo un consiglio preciso, ma per l’appetito ludico, il riferimento è sempre MagicMerchant.it