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L’insostenibile leggerezza dell’essere soggettivi

Oggi si parla di giochi da tavolo e recensioni oggettive e lo facciamo con un graditissimo ospite: Marco Valtriani.

Sono molto contento di ospitare un intervento di Marco, leggo sempre molto volentieri i suoi scritti e questo non fa eccezione. Nota: ci vogliono almeno 10 minuti a leggere questo articolo, ci rendiamo conto che Internet impigrisce, ma questi concetti non si potevano riassumere in modo altrettanto efficace.

Lascio la parola a Marco.


Ultimamente nei gruppi dedicati al gioco da tavolo è tornata alla ribalta la questione “recensioni oggettive”, una questione che come sanno addetti ai lavori e giocatori abituali è un po’ come la peperonata: tende a riproporsi.

Ma pregi e difetti di un gioco sono definibili oggettivamente o è tutto soggettivo? Dove finiscono i fatti e iniziano le opinioni? E dove l’opinione soggettiva diventa ancor più vaga, sfumando nel gusto personale?

Alcune delle cose che leggerete sono un riassunto della mia Guida Pratica per Aspiranti Game Designer, disponibile gratuitamente sul mio blog: se siete interessati ad approfondire l’argomento non posso che consigliarvene la lettura, perché un singolo articolo non potrà mai riassumere a dovere tutte le sfumature degli argomenti che andremo a trattare.

Mi perdonerete, però, se prima faccio un piccolo preambolo, volto a definire cos’è “oggettivo”, cos’è un’opinione e come si esprime un semplice gusto o una preferenza personale.

Un elemento oggettivo è qualcosa di estraneo a qualsiasi possibilità di intervento o di interpretazione, qualcosa di universalmente vero, non condizionato dalla particolarità o variabilità dei punti di vista.

La prima scena di Arancia Meccanica è una carrellata all’indietro che inizia con un primo piano e termina con un totale.

La Sinfonia n. 39 in Mi bemolle maggiore K 543 è stata composta da Mozart nel 1788.

Citadels è un gioco per 2-7 giocatori, che possono arrivare a 8 utilizzando l’espansione Dark City.

Questi sono fatti. Dati oggettivi. Contraddire queste affermazioni non è “un’opinione”, è proprio sbagliato o, parafrasando i trettré, ‘na strunzat’.

Quando si parla di opere d’arte o di prodotti di design pensati per il settore dell’intrattenimento, come film, canzoni, quadri, videogiochi e ovviamente anche giochi da tavolo, gli elementi oggettivi sono in realtà molti meno di quelli che si pensa, soprattutto quando la discussione è informale e non si svolge tra persone che hanno passato anni a studiare l’argomento in oggetto.

Una discussione, in ogni caso, è principalmente composta da opinioni. Un’opinione consiste nell’insieme delle proprie convinzioni o valutazioni soggettive in merito a un elemento oggettivo.

Credo che la prima scena di Arancia Meccanica sia costruita in modo da anticipare il senso di inquietudine e la violenza che pervadono tutto il film.

Secondo me, l’uso del clarinetto al posto dell’oboe nella Sinfonia n. 39 di Mozart contribuisce a dare all’ultimo movimento un senso di serenità e allegria.

Penso che Citadels sia più divertente giocando con quattro o più giocatori.

Queste sono opinioni, ossia: partendo dalle proprie esperienze e dai fatti, si esprime una valutazione, un parere, una convinzione. Tanti più argomenti e rimandi a elementi oggettivi contiene un’opinione, tanto più questa è “informata” e, probabilmente, tenderà ad essere autorevole o vicina al vero.

L’opinione, tendenzialmente, dovrebbe essere esplicita (ossia introdotta da verbi come “credo”, “penso”, “ritengo” o dal mai troppo utilizzato “secondo me”) e, soprattutto, dovrebbe essere razionale, ossia dovrebbe rispondere a criteri di logicità, di congruenza e funzionalità. Dovrebbe, cioè, essere logica, coerente e funzionale, altrimenti sembrerà campata in aria, o senza senso.

Dire “secondo me Citadels gira meglio da quattro giocatori in su, perché il gioco si basa sulla scelta di personaggi segreti e sul bluff, quindi secondo me con meno di 4 giocatori perde un po’ di mordente” è diverso da dire “secondo me Citadels gira meglio da quattro giocatori in su perché le monetine assomigliano a caramelle mou”. Sono entrambe opinioni, non c’è dubbio, ma mentre la prima suona assolutamente sensata, alla seconda si tenderà a reagire sgranando gli occhi e pensando “che cazzo ho appena letto?”

E il gusto? Beh, esprimere il proprio gusto è ancora più semplice, perché nel farlo diremo soltanto se una cosa ci piace o no (e, magari, perché): non è necessariamente un’opinione razionale, ma può tranquillamente essere espressione del proprio lato più emotivo, relativo a sensazioni ed esperienze personali anziché a nessi logici o informazioni oggettive.

A me Citadels in due piace da morire.

Questo è gusto: non importa se il gioco per quasi tutti “funziona meglio” in almeno quattro giocatori o più: se a me piace giocarci in due nessuno può dirmi niente. Potete pensare che io abbia, appunto, “cattivo gusto”, potete sentire l’urgenza di dirmelo se il contesto lo permette (o se siete un po’ maleducati), ma niente di più. Il gusto è, semplificando, una specie di opinione che non ha bisogno di motivazioni razionali o di fatti su cui poggiare, anzi, per la maggioranza delle persone parte più dal nostro lato emotivo e dalle sensazioni che non dalla logica e dal raziocinio.

Detto questo, torniamo a noi, ossia agli elementi oggettivi nei giochi da tavolo. Come ho anticipato poc’anzi, sia che si parli di un film, che di una canzone, che di un libro o di un gioco, di elementi oggettivi ce ne sono, ma spesso sono meno di quelli che si pensa o, comunque, meno “netti” di come vengono percepiti. Le opinioni però possono essere molto informate, qualora attingano a una conoscenza più o meno approfondita – nel caso del gioco – del game design, dei concetti relativi al gioco e al giocare espressi nei Game Studies, dei meccanismi produttivi, delle logiche di mercato e via dicendo.

Gli elementi oggettivi che caratterizzano un gioco e su cui c’è davvero poco da discutere, al di là della descrizione fedele delle regole, sono solitamente le caratteristiche più tecniche, come per esempio il target, il genere, il tipo di interazioni permesse e le fonti di incertezza utilizzate.

Il target è il punto di partenza della progettazione di giochi e dovrebbe essere il punto di partenza di qualsiasi valutazione. La stragrande maggioranza dei giochi ha un genere, delle regole, dei materiali e un prezzo pensato per uno specifico target. Ci sono diverse classificazioni, ma di base si tende a dividere il target a seconda dell’acquirente tipo di quel prodotto: ci sono i giochi per bambini (children games), per famiglie (family games), per gruppi di coetanei (party games), per giocatori (chiamati anche “gamers” games, hardcore games, o strategy games). Esistono anche sotto-categorie come i gateway games (vie di mezzo fra i family e i giochi “per giocatori”), ma sinceramente e personalmente tendo a usare solo quelle commerciali più diffuse.

Se io non sono “il target” di un gioco, è probabile che questo non mi piaccia. Ci sono meccaniche che vanno benissimo per un target e sono pessime per altri, così come ci sono difetti tollerabilissimi in alcuni contesti che diventano insostenibili in altri. L’uso della memoria è molto indicato in un gioco per bambini, ma può essere fastidioso in un gioco per adulti; al contrario, avere tempi morti importanti può essere lecito in cambio di una notevole profondità strategica, ma diventa intollerabile in giochi leggeri o, magari, proprio per bambini. Stesso discorso vale per il genere: da un gioco adventure all’americana è lecito aspettarsi un uso diverso degli elementi casuali e diverse modalità di interazione rispetto a un eurogame di gestione risorse e sviluppo, così come è chiaro che un gioco di corse avrà meccaniche diverse da un gioco di penitenze o da un 4X ambientato nello spazio. Quando si valuta un gioco è importante capire che esperienza questo si propone di offrire ai giocatori: è un po’ assurdo protestare se in un party game come Vudù, che è composto al 99% da dadi e carte, c’è una componente aleatoria molto presente; allo stesso modo non ha molto senso lamentare la mancanza di aderenza fra tema e meccaniche in un eurogame leggero come Dolly Crush, che proprio nella meccanica lineare e nell’immediatezza del gameplay ha il suo punto di maggior forza. È invece assolutamente normale e sensato parlare di quanto una cosa ci piace (o non ci piace) e perché, o del motivo per cui una certa interazione ci infastidisce, o di come troviamo poco coerente con target e tema l’uso di una determinata meccanica.

Target e genere, solitamente, sono la base su cui gli autori di giochi calibrano le meccaniche e, di conseguenza, elementi come l’interazione e le fonti di incertezza. Ma cosa sono di preciso questi elementi?

L’interazione è il modo, l’intensità e la frequenza con cui le azioni dei giocatori influenzano il gioco degli altri giocatori; ogni volta che un’azione ha delle conseguenze sul mondo di gioco eo sui possedimenti o sul ventaglio di scelte degli altri giocatori, si è verificato un qualche tipo di interazione. Non tutte le interazioni sono uguali: anzi, ce ne sono di molti tipi e ogni tipologia presenta diversi gradi d’intensità e sfumature.

L’interazione può essere diretta o indiretta. Per interazione diretta s’intende quella per cui le azioni di un giocatore influenzano direttamente le proprietà di uno o più giocatori, aggiungendo o sottraendo pezzi, alterando punteggi, rubando o scambiando risorse. Esempi di interazione diretta sono gli attacchi in Risk!, che possono distruggere le truppe avversarie e permettere di “rubare” un territorio a un altro giocatore, ma lo sono anche cose apparentemente meno “violente”, come il mettere una Maledizione nei mazzi avversari in Dominion o l’azione facoltativa di rimettere nel sacchetto un capomastro avversario in Pilastri della Terra. L’interazione indiretta invece influenza le altrui scelte senza però essere esplicitamente rivolta contro le proprietà di qualcuno: piazzare un lavoratore in Caylus, per esempio, riduce il ventaglio di scelte degli avversari senza “toccare” i loro possedimenti. Altri esempi possono essere l’acquisto di un oggetto da un mercato comune o il blocco di una zona percorribile di una mappa.

L’interazione diretta può a sua volta essere mirata o indistinta, oppure può essere rilevante il carattere di volontarietà della stessa, ma preferisco non dilungarmi troppo sui dettagli tecnici; inoltre ci sono altri due fattori, difficilmente inseribili in uno schema netto, che influenzano molto sia il bilanciamento del gioco che l’esperienza di gioco vissuta (e percepita) dai giocatori: l’intensità dell’interazione, ossia “quanto” l’interazione influenza il gioco, e la sua frequenza, cioè quanto spesso si verifica l’interazione fra due elementi o fra due giocatori.

Ovviamente l’interazione diretta tenderà a scombinare maggiormente i propri piani o quelli degli avversari rispetto a quella indiretta, ma non è sempre così e non è sempre automatico (pensate a quando, in Agricola, vi “precedono” su un’azione per voi vitale), per cui il modo giusto di parlare di interazione, secondo me, è definire di che tipo sia, e poi esprimere il proprio giudizio di gusto (o fornire la propria opinione, se ci si sente in grado) tenendo in mente il genere e il target del gioco.

Un discorso analogo può essere fatto per le fonti di incertezza, ossia tutti quegli elementi che rendono incerto il risultato di qualcosa, sia essa una singola azione o l’intera partita.

Spesso si sente parlare di “alea”, solitamente in relazione alla presenza o meno di tiri di dado (odiati o amati a seconda dei gusti più “euro” o più “american”), ma in realtà gli elementi che rendono incerto l’esito della partita sono molti di più dei semplici randomizzatori.

Greg Costikyan, autore di uno dei libri più pertinenti rispetto a questo argomento (Uncertainty in Games, viva la fantasia), ha individuato una decina di tipi d’incertezza; fra questi, però, solo alcuni vengono utilizzati nei giochi da tavolo, e qui mi limiterò a quelli già ampiamente utilizzati. Come dicevo, il più menzionato (e uno dei più comuni) è costituito dagli elementi casuali (randomness), ossia l’uso di elementi casuali e randomizzatori: escamotage o più comunemente oggetti la cui funzione è quella di fornire uno o più risultati casuali attinti all’interno di un insieme finito (o quantomeno limitato) di valori possibili. Questo tipo d’incertezza è strettamente legato al numero di variabili, al tipo di metodo o algoritmo di generazione casuale e, ovviamente, al momento della partita in cui s’inserisce la casualità (prima o dopo una scelta, per esempio).

Il secondo elemento d’incertezza – ma sarebbe meglio dire primo ex aequo – presente in qualche misura in ogni gioco in cui ci sia almeno una piccola dose di interazione, è dato dall’imprevedibilità dei giocatori o, per dirla con Costikyan, unpredictability of players. Ogni volta che un giocatore può compiere una scelta non scontata che, direttamente o indirettamente, influenza il gameplay di un altro giocatore, introduce incertezza nel gioco. Per esempio, in molti giochi astratti, che sono a informazione completa e senza nessun fattore casuale, la partita è resa incerta dalle scelte tattiche e strategiche dei giocatori, che – a seconda del proprio livello, della conoscenza del gioco, delle proprie capacità e inclinazioni – sceglieranno di volta in volta approcci diversi, lasciando “aperto” il finale delle sfide. Come nel caso precedente ci sono tantissimi “gradi” per questo tipo di soluzione e anche in questo caso si deve sempre guardare al target per farsi un’opinione.

Un altro elemento di incertezza è la complessità analitica (analytical complexity), di solito utilizzato in combinazione con il precedente: se un gioco ha un numero di variabili troppo alto perchéi giocatori possano prevedere le conseguenze di tutte le linee d’azione, buona parte di quello che li aspetta durante la partita rimarrà gioco forza un’incognita.

Un’altra fonte d’incertezza utilizzata con un certa frequenza nel mondo dei boardgame è rappresentata dall’inserimento di informazioni segrete (hidden information). Quando un’informazione è sconosciuta ad alcuni giocatori (sia per un periodo di tempo limitato che molto lungo), essa creerà tensione e curiosità, portando i giocatori non solo a farsi domande, ma anche a cercare di impadronirsi di informazioni utili.

Ci sono altre fonti d’incertezza utilizzabili, oltre a queste: l’incertezza d’esecuzione (performative uncertainty), molto utilizzata nei giochi di destrezza o con una componente di “tempo reale”, l’incertezza del solutore (solvers uncertainty), tipica dei puzzle game e dei rompicapo, che entra in gioco quando vengono proposti enigmi e altri elementi da risolvere.

Ce ne sono, come dicevo, molte altre, ma l’articolo sta già diventando più lungo di una partita a Twilight Imperium, quindi mi fermo qui, mi limiterò a ricordare che di solito in un gioco le fonti di incertezza, così come i tipi di interazione, sono spesso più di uno e presenti in misura diversa, ed è impensabile ritenere che la propria percezione dell’esperienza di gioco sia così raffinata da essere oggettiva (e quindi “esatta al 100%”).

Gli elementi visti finora, insieme ad altri non meno importanti (come l’aderenza fra meccaniche e ambientazione, ossia quanto le meccaniche “ci stanno” col tema, per dirla in parole semplici) contribuiscono a definire quella che sarà la nostra esperienza di gioco che, manco a dirlo, dipenderà anche dal nostro stato d’animo, da quanto siamo “in target” rispetto al gioco, dalla compagnia, da quanto ci piace la grafica del gioco e da mille altri fattori.

Credo che a questo punto sia abbastanza chiaro dove voglio andare a parare: è vero che si possono definire per sommi capi gli strumenti usati dal designer per trasmettere quella che secondo lui è l’esperienza di gioco ottimale e più significativa, ma è ancor più vero che in mezzo a tutte queste variabili fornire valutazioni completamente e assolutamente oggettive è un’impresa superiore alle forze di chiunque.

Più realisticamente, un giudizio o una recensione è sempre un’opinione o una serie di opinioni, che come ogni opinione può essere più o meno argomentata, più o meno motivata e più o meno sensata. Chiaramente, e questo vale in ogni settore, per ogni argomento e per ogni discussione, è impossibile pensare di avere opinioni informate senza aver studiato almeno le basi dell’argomento di discussione; vedere molti film non ci trasforma in critici cinematografici, ascoltare molta musica non ci rende musicologi, e giocare molti giochi non ci fa diventare ludologi o game designer, è solo indice che siamo appassionati di questo o quel tipo di opera. Ma, al di là di queste considerazioni, e dello sforzo che ognuno vorrà investire nell’approfondimento delle discipline coinvolte nella creazione e pubblicazione di un gioco, l’importante, secondo me, è tenere a mente questi quattro punti e parlare (o scrivere) di conseguenza:

  1. Cerchiamo di capire cosa il gioco si propone di fare e per chi.
  2. Proviamo a capire da subito se noi siamo il target del gioco oppure no.
  3. Analizziamo quali elementi sono meccanici (e quindi dipendono in larghissima parte dal gioco in sé) e quali dinamici (e quindi dipendono anche dal gruppo di gioco, dai suoi gusti, dall’umore al tavolo).
  4. Solo adesso, cerchiamo di valutare il più oggettivamente possibile se il gioco fa quello che si propone di fare oppure no, eventualmente ammettendo di non essere in grado di giudicare se il gioco è troppo lontano dalle nostre corde o se non abbiamo gli strumenti tecnici per farlo, limitandoci a esprimere le nostre preferenze e il nostro gusto personale.

In questo contesto e con questo approccio, e quindi con un atteggiamento consapevole, non c’è nessun problema nel descrivere i punti di forza di un gioco senza per forza decantarne le virtù oltre misura o nel puntare il dito contro quelli che abbiamo percepito come difetti (e che probabilmente ci sono, perché nessun gioco, neanche se progettato correttamente e coerentemente in relazione al target, è “perfetto per tutti”).

Adesso, se hai letto fin qui, permettimi di ringraziarti e di dirti la mia su un altro aspetto della comunicazione (online e non). Secondo me, a tutto questo andrebbe anteposta un’altra semplice regola: essere il meno ostili possibile. Stiamo parlando di giochi, che per la maggior parte di noi sono solo un hobby (ma per qualcuno sono un lavoro vero e proprio, né più e né meno di quella che è la vostra professione), e stiamo nel 99% dei casi esprimendo il nostro gusto e le nostre opinioni soggettive. Eppure, ogni giorno, in tantissime discussioni, vedo un sacco di persone che parlano con toni aggressivi, supponenti, denigrando tutto ciò che suona anche solo lontanamente “diverso” o distante dalle proprie posizioni.

Secondo me (ri)conoscere la soggettività delle proprie opinioni e delle proprie preferenze, capire quando qualcuno sta basando le proprie opinioni su elementi oggettivi e dimostrabili è indubbiamente importante, ma è  ancora più istruttivo e significativo capire che quello che diciamo ha un impatto sugli altri, che nessuno ha sempre ragione (né io, né voi), che le idee si possono discutere, ma che le persone si devono rispettare.

Finché si discuterà per dimostrare solo di “avere ragione”, finché imporsi, magari calpestando le idee e i gusti altrui, sarà più importante di imparare ad ascoltare, le discussioni rimarranno in larga parte sterili. Finché non saremo in grado di riconoscere i limiti delle nostre percezioni e non saremo in grado di capire che per avere un’opinione autorevole è necessaria un po’ di fatica, finché non la smetteremo di mettere “io” al centro di ogni argomento, saremo solo tante isole che si cannoneggiano senza motivo.

Il che, considerando che uno dei tratti distintivi del gioco da tavolo è la capacità di aggregare persone anche molto diverse fra loro intorno allo stesso tavolo, unite dalla stessa passione, è un po’ paradossale.

Sono però convinto che le persone che hanno voglia di riscoprire la gioia di ascoltare, imparare, e divertirsi siano davvero tante, e che tutti insieme possiamo far crescere il nostro hobby in modo sano, costruttivo ed appagante per tutti.

Buon gioco,

Marco