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L’insostenibile leggerezza del… solitario

Se pensate che questo articolo sia un pistolotto psicologico sul perché le persone amano giocare ai solitari, vi state sbagliando di grosso. La mia analisi è più procedurale che non emotiva…

In un articolo che ho pubblicato recentemente e che potete trovare [qui] ho disquisito in modo un po’ goliardico e un po’ caustico sulle domande che vengono riproposte in modo ossessivo a cadenze alterne nei gruppi di gioco.

Una fra queste domande mi ha dato da pensare, anche perché mi è stata suggerita successivamente alla prima uscita dell’articolo, che ho, per ciò, poi aggiornato, e che era quella che dice: “Ma come fanno a piacervi i giochi in solitaria?” con tutto il papiro di risposte (anch’esse trite e ritrite) che questa domanda porta con sé.

Dobbiamo fare una premessa (a me piacciono le premesse perché servono a dare un “colore” all’articolo, una sorta di chiave di lettura): con giochi in solitario non stiamo parlando dei giochi che si fanno con le carte francesi (e che comunque non sono da bistrattare) né dello Spider dei vecchi Windows, stiamo parlando di giochi più o meno complessi che, o sono principalmente dei solitari, o hanno una modalità in solitario. E la mia disamina, benché personale, riguarda le motivazioni oggettive per cui vengono scelti e quindi offerti (secondo il principio economico che è la domanda a determinare l’offerta) giochi in solitario o con possibilità di essere giocati in solitario.

Partiamo da una categorizzazione dei giochi in solitaria. Ne possiamo distinguere di 3 tipi: giochi esclusivamente in solitario, giochi che hanno anche una modalità in solitario, e giochi non in solitario ma che di fatto possono essere giocati da soli.

P.S. I giochi [in rosso] possono essere cliccati per vederne le recensioni.

Palm Island è un gioco principalmente in solitario ma che ha anche altre due modalità

 

Giochi esclusivamente in solitario

Sono giochi creati appositamente per essere giocati da soli, alcuni molto astratti, altri un po’ più “immersivi”. Dei primi fanno parte ad esempio [Arkham Noir], in cui impersoniamo un investigatore che si muove per interrompere l’orrore di una catena di omicidi, oppure Friday, di  Friedemann Friese, gioco di carte dove siamo un naufrago sperduto su un’isola che cerca di sopravvivere agli innumerevoli pericoli e difficoltà, gestendo bene la sua mano e valutando quando correre rischi o essere più prudente.  Dei secondi fanno parte [Hostage Negotiator], in cui rivestiamo il ruolo di negoziatore della polizia che deve salvare degli ostaggi, e Palm Island, di Jon Mietling, che nonostante sia molto semplice e rapido, dà veramente la sensazione di gestire risorse in un lasso di tempo limitato e che ha fra l’altro ha una modalità competitiva e una cooperativa (entrambe da giocare in 2).

Giochi che hanno anche una modalità in solitario

Sono giochi che di base sono competitivi ma che hanno anche una modalità per giocare senza altri giocatori, in pratica contro il gioco. Questo può avvenire secondo diverse modalità.

  • con la presenza di carte “bot” che costituiscono la AI del gioco: in pratica spiegano come dovrebbe giocare un ipotetico giocatore “fantasma” esemplificandone il comportamento in una serie di carte. Ne sono un esempio Small Island, di Alexis Allard ed edito da Playagame, gioco di piazzamento tessere in cui si fanno punti esplorando isole e piazzando avamposti, e [Barrage] in cui si devono creare centrali idroelettriche per fornire potenza, ma anche Architetti del Mondo Occidentale;
  • con una modalità in solitario che ha regole e procedure che differiscono leggermente dalla modalità competitiva che ne sta alla base. Esempio ne sono Pocket Mars, di Michal Jagodzinski e Jaroslaw Wajs edito da MS Edizioni, astratto che prevede, attraverso la gestione carte e lo sfruttamento di avamposti, di guadagnare punti piazzando i propri coloni in apposite strutture, oppure [Carcosa], gioco molto simile al più celebre Carcassonne ma a tema lovecraftiano in cui la città di Carcosa prende forma con un piazzamento tessere e si fanno punti posizionando cultisti nei suoi quartieri, o [Paperback], che unisce il gioco dello Scarabeo, basato sulla formazione di parole, al deck building.
  • con una modalità in solitario che ricalca regole e dinamiche della modalità collaborativa/competitiva e che in genere prevede un aggiustamento degli obbiettivi e delle sfide a seconda del numero di giocatori. Ne sono esempio Arkham Horror 3a edizione, di Nikki Valens ed edito da Asmodee, la nuova edizione del celebre gioco di investigazioni lovedraftiane, e [Terraforming Mars], gioco di terraformazione del pianeta rosso.
  • con meccaniche esattamente uguali alle regole del competitivo grazie alla bassa interazione fra i giocatori e che semplicemente condizionano la vittoria al raggiungimento di un determinato punteggio in un lasso di round stabiliti: ne sono esempi [Cottage Garden], un gioco di composizione aiuole e giardini, e Il Regno delle Sabbie, di Ji Hua Wei ed edito da MS Edizioni, in cui, mediante la combinazione di tessere Runa, si collezionano carte edificio e si guadagnano punti in un determinato numero di round.

Arkham Horror 3a Edizione, come le edizioni precedenti, ha una procedura di gioco che gli permette di autocalibrarsi a seconda di quanti giocatori prendano parte al gioco

 

Giochi non in solitario ma che di fatto possono essere giocati da soli

Mice & Mystics è un dungeon crowler che può essere giocato in solitario usando tutti e 4 i personaggi coinvolti nelle avventure.

Sono giochi che non prevedono una modalità in solitario, ma le cui meccaniche e/o la cui scarsa interazione fra i giocatori li rendono adatti ad essere giocati anche da soli. Appartengono a questa categoria quasi tutti i roll&write, giochi che basano le loro meccaniche sulla compilazione di schede di gioco in seguito a lanci di dadi (o pesca di carte), in cui l’interazione fra i giocatori è praticamente nulla, tipo [Rolling Ranch], in cui si lancia un dado per stabilire quanti e quali animali possiamo far riprodurre nella nostra fattoria, o [Mappe stellari], una sorta di libro-gioco in cui si fanno punti creando costellazioni, ma anche i dungeon crawler ed in genere i cooperativi come [Mice and Mystics], [Super Fantasy], o [Chtulhu – Lo Stregone di Salem] che nonostante usino più di un personaggio, si possono gestire come “squadra” senza perderne in divertimento.

 

 

 

Questo per dire che quando si parla di giochi in solitario, ci si riferisce ad una vasta gamma di tipologie, meccaniche e formati, ma che sottendono tutti il concetto della sfida. E partendo da questa considerazione, si può capire come sia fondamentalmente travisato il concetto di “gioco”… e per esteso di gioco in scatola.

Io non riuscirei a giocare ad un gioco in solitario e non capisco quelli che lo fanno.

H. P. Lovecraft, detto “Il Solitario di Providence”

Quante volte ci siamo trovati di fronte a questo tipo di affermazione, che sottintende il fatto che quelli a cui i giochi in solitario piacciono, devono avere per forza una qualche conto in sospeso con la società, o siano al limite della misantropia. Non si concepisce l’idea che il gioco e il giocare non siano strettamente correlati ad una esigenza di socializzazione e quindi si arriva a stupirsi del fatto che certi giochi vengano progettati anche per, o solo per, essere giocati in solitario. Da questa idea un po’ distorta sono nati i cosiddetti “family game”, il cui scopo principale è proprio quello di divertire un gruppo di persone… e che non avrebbe senso fare da soli.

Tralasciando i motivi personali per cui uno può decidere di giocare per i fatti suoi ad un gioco che gli piace, posso serenamente affermare che chi pensa che il gioco esista solo in quanto mezzo di socializzazione, prende in realtà un enorme granchio. I giochi più antichi di cui si abbiano notizia, il Senet e gli Scacchi, erano in realtà giochi da due persone, quindi il loro fine non era certo quello di “fare gruppo”.

La socializzazione cui possono portare i giochi… da tavolo ma anche fisici, olimpici, sportivi… è un evento prettamente collaterale, diciamo una conseguenza del verificarsi delle partite. Lo scopo principale di un gioco, di un qualsiasi gioco, è mettere alla prova le proprie capacità, testare le capacità del proprio corpo o quelle di quel potente sistema di problem solving che è il cervello: in questo senso, e limitandoci ai giochi da tavolo, non ci si deve chiedere perché ci sono persone cui piace giocarli (anche) in solitario, ma perché ci sono persone che non riescono a farlo.

Il gioco non è nato per socializzare più di quanto non lo sia l’atto di cibarsi. L’intavolare un gioco può essere divertente e un buon modo per creare convivialità e amicizie, ma giocare è principalmente una sfida… con se stessi, con l’avversario o gli avversari, ma anche con il gioco stesso: e in quest’ultimo caso è interessante anche per il Game Designer concepire un meccanismo che renda il gioco “reattivo” nei confronti del giocatore umano, o che ponga prove e ostacoli che il giocatore deve superare. A volte ci riesce, a volte il prodotto non è soddisfacente.

Quindi, una volta per tutte, chi gioca in solitario non ce l’ha con il mondo, non è un animale strano, semplicemente accetta la sfida di un gioco e del suo creatore.


E se volete cimentarvi in qualche bel solitario, c’è MagicMerchant che non vede l’ora di soddisfarvi!